Ecco una località dove far rifiatare i polmoni a 500 metri d’altitudine lassù, sui monti della Tolfa, dove vi aspetta Allumiere.
Siamo nel cuore dell’Etruria, poco distanti dal litorale. Anzi da qualche punto in altura è addirittura possibile vedere il mare.
Ve la ricordate la strada per Tolfa ? In macchina, dall’Aurelia o dall’uscita S.Severa-Santa Marinella si prendeva la provinciale e si procedeva per una ventina di km. Ebbene, per Allumiere non bisogna fare altro che proseguire su quella strada per altri 5 km una volta usciti dal comune che prende il nome dai monti su cui sorge.
Già solo il viaggio rilassa i nervi e ritempra lo spirito. La strada s’inerpica sulle colline immersa nel verde e in un silenzio irreale. Certo, se siete deboli di stomaco o soffrite di mal d’auto le curve potrebbero darvi fastidio, ma come si diceva una volta, “basta guardare avanti un punto fisso”. Semmai concentratevi sui benefici e pensate che siete lontani dal trambusto della città.
Lungo la strada notiamo un’enorme scritta sul muro che costeggia un tornante: “Tolfa e Allumiere biancazzurre”. Laziali, c’era da aspettarselo. Immaginiamo entrambi i paesi listati a festa e il tripudio di caroselli fino all’alba in occasione della leggendaria vittoria in Supercoppa di domenica scorsa che resterà negli annali per decenni e decenni…
In effetti, nelle strade del paese le bandiere ci sono ma non sono biancocelesti, bensì dei colori delle contrade in cui è divisa la città.
La Contrada del Ghetto, per dire, è giallorossa. Ma ce ne sono altre cinque, e tutte si sfidano nel tradizionale palio che si tiene il primo fine settimana dopo Ferragosto.
La manifestazione affonda i suoi natali nel XVI Secolo e, a differenza del palio di Siena a cui si ispira, non si corre coi cavalli ma con gli asini.
Allumiere però, più che al palio, deve il suo nome a un’altra particolarità. L’assonanza con “allume” infatti è evidente e deriva dalle miniere del minerale che si trovano nelle vicinanze. E’ usato principalmente per la concia delle pelli, come mordente in tintoria, e come emostatico e astringente in medicina. E’ stato scoperto proprio qui e la sua estrazione ha sostenuto l’economia cittadina fin dal 1500.
Fu Agostino Chigi “il Magnifico”, banchiere, imprenditore e armatore nonchè appaltatore delle cave di allume, a costruire lo stabilimento per la lavorazione del minerale e un villaggio per gli operai che presero il nome di “Le allumiere”, complesso su cui si svilupperà l’attuale città.
A scoprire l’allume fu però nel 1462 Giovanni da Castro, commissario dello Stato Pontificio sotto papa Pio II che gli diede la prima concessione per l’estrazione del minerale. Al pontefice e agli “uomini dell’allume” è intitolata un’effigie in centro città.
Oggi ad Allumiere la vita si svolge soprattutto in piazza della Repubblica. Oddio, “vita” è un parolone, se consideriamo che il massimo dello svago qui è una passeggiata col cane o ritrovarsi al bar con gli amici. Però ha il fascino delle cose antiche.
Inoltre non siamo in uno di quei borghi medievali rifatti a uso e consumo dei turisti. Non siamo a Castel Gandolfo, Bagnoregio o Castro dei Volsci. Non siamo in un luogo costruito su misura per il borghesuccio in fuga dai miasmi metropolitani. Non ci sono i locali tutti uguali, i ristoranti che ti spennano e le biciclette decorative adornate di piante fuori dai portoni, no.
Qui è tutto ruspante per davvero. I ristoranti sono trattorie e gli anziani del luogo non si sforzano di farsi capire mettendo da parte il dialetto. Li trovi al parco, sulle panchine, affacciati ai balconi. Ti squadrano perchè non sei del luogo e non distolgono lo sguardo perchè non conoscono l’imbarazzo. Semmai sei tu a doverti imbarazzare perchè hai invaso il loro territorio.
Piazza della Repubblica, dicevamo. Qui si affacciano il Comune, la Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo e il palazzo del Museo civico, che racconta la storia di Allumiere attraverso l’esposizione di reperti archeologici, minerari, naturalistici, paleontologici.
E se la visita vi ha messo appetito, non avrete problemi a trovare posto in una qualsiasi osteria e mangiare un menù completo a prezzi modici. La cucina è ottima, i sapori quelli di una volta, i piatti tipici, autentici, genuini. E tranquilli, che in cucina non troverete Tognazzi e Gassman che si tirano addosso il cibo e infilano le scarpe nella zuppa come ne “I nuovi mostri”.
Ma se siete più per il pranzo al sacco potete tranquillamente sedere su una panchina dei giardini pubblici e azzannare un panino.
Però attenti a non bere l’acqua dalla Fontana “Tonna” (così rinominata dal poeta allumierasco Pierino Pennesi) perchè, come avverte il cartello, ad alta concentrazione di ferro, alluminio e PH. Semmai il gelato, quello sì, ve lo andate a prendere al bar dopo la pennichella pomeridiana all’ombra di un faggio.
Il tempo infatti scorre anche se sembra fermo. Non è vero che quando si ozia le ore non passano mai. Però è anche vero che l’ozio è il padre dei vizi, e allora gambe in spalla per l’ultima tappa prima del rientro a Roma: la Tenuta Farnesiana. Anzi più che a piedi bisogna prendere la macchina perchè il podere si trova a una manciata di chilometri da Allumiere in direzione nord prendendo via Farnesiana.
Trattasi di un’area oggi adibita ad agriturismo ma che comprende un incantevole borgo contadino e soprattutto una chiesa gotica che versa in stato di abbandono ma che oggi si sta tentando di recuperare.
La proprietà del complesso immerso nella macchia mediterranea è passata di mano in mano nel corso del tempo. Tra i proprietari, durante il XIX Secolo, anche il Monte di Pietà di Roma e la Cassa Depositi e Prestiti. Oggi appartiene a un’azienda agricola ma è aperta a tutti.
Anche qui si può mangiare o sedere liberamente sul prato per l’ultimo scampolo di quel sole tiepido e stanco delle sei del pomeriggio.
E poi il verde, le cicale, le galline, lo scroscio d’acqua del vicino corso, l’odore del concime. Attimi che vorrete dilatare a dismisura prima del ritorno agli inferi della canicola romana.
Valerio Di Marco
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La fontana è in dialetto detta “tonna” perché “tonda” (in realtà ottagonale); questa denominazione è probabilmente vecchia quanto la fontana, che risale alla fine del XVI secolo; Pierino Pennesi ha scritto una poesia su di essa.