Una delle ultime rivoluzioni del rock l’hanno fatta…le macchine. Era già accaduto coi Kraftwerk all’alba degli Anni ’70 e accadde nuovamente con il trip-hop una ventina d’anni dopo. A innescarla, quella rivoluzione, furono i Massive Attack, storico brand dell’elettronica targata 90’s che martedì 26 luglio sarà in scena alla Cavea dell’Auditorium per ripercorrere le tappe principali di una carriera quasi trentennale.
La band di Robert “3D” Del Naja e Grantley “Daddy G” Marshall ha da poco pubblicato un nuovo EP di quattro brani, Ritual Spirit, che pur non avendo aggiunto molto alla loro epopea leggendaria, ha se non altro avuto il merito di interrompere un silenzio che si protraeva da sei anni, vale a dire dal precedente e – allo stato attuale – ultimo lavoro “lungo”, Heligoland.
La storia dei MA inizia a Bristol, cittadina del sud dell’Inghilterra distesa sulla costa nord-orientale del Somerset e a forte densità di immigrati, che a cavallo tra gli Anni’80 e ’90 era un coacervo di energie artistiche pulsanti nel sottobosco undergorund. Un fermento e una tensione espressiva tali da far parlare di “scena”, termine quanto mai abusato ma che qui aveva una sua ragion d’essere.
A Bristol, musica, street-art e controcultura giovanile confluivano in unicum in cui gli artisti si mischiavano, collaboravano tra loro, formavano collettivi dove spesso era difficile stabilire chi influenzava chi. Anche il pubblico era parte attiva di quel magma ribollente: non semplici spettatori ma attori protagonisti in un processo di continua interazione. Come San Francisco per la cultura hyppie, New York per la pop-art o Londra ai tempi del punk, Bristol alla fine degli Anni ’80 sembrava essere diventata il centro del mondo.
Lì, ad esempio, era nato e mosse i primi passi artistici Bansky, il writer no-global più famoso dei nostri giorni; e lì erano nate le principali band incarnanti il verbo trip-hop, nome giornalistico affibiato a quella furiosa miscela di elettronica, hip-hop, techno, house e alternative-rock impastata di deliri suburbani e rivendicazioni working-class di cui non solo i Massive Attack, ma anche i Portishead, Tricky e Bomb The Bass sono stati portabandiera definendo i canoni di quello che in futuro verrà etichettato come “Bristol sound”.
I MA all’inizio erano anche loro un collettivo, denominato Wild Bunch – mucchio selvaggio – e fondato da tre dj sbarbatelli che rispondevano ai nomi dei già citati 3D e Daddy G, oltre che di Andrew “Mushroom” Vowles, che avrebbe lasciato la band dopo circa un decennio di militanza per divergenze artistiche con gli altri due. Tutti e tre erano figli di immigrati. Del Naja era nato da genitori italiani, mentre gli altri due erano di origini afro-caraibiche.
L’ ”attacco di massa” inizia nel 1991 con l’album Blue Lines, uno dei tre vangeli canonici del trip-hop assieme a Dummy e Maxinquaye, opere prime dei compagni di viaggio Portishead e Tricky.
Ma è Mezzanine, del 1998, a rappresentare l’apogeo di una parabola artistica che negli anni si è guadagnata l’ammirazione, con annesse richieste di collaborazione, di nomi blasonati come Madonna, Sinead O’Connor e Tracey Thorn degli Evertyhing But The Girl. E anche se ciò ha fatto storcere la bocca ai puristi della prima ora, la band è riuscita comunque a mantenersi in equilibrio tra un malcelato anelito di grandezza planetaria ed un invidiabile senso della coerenza a fare da stella polare per tutto il cammino.
Un cammino che martedì prossimo farà tappa a Roma nella speranza che sia ancora lungi dall’esaurirsi.
Valerio Di Marco
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