La morte di David Tobini, 28enne Caporal Maggiore Scelto dei Paracadutisti originario di Cesano di Roma, morto a luglio del 2011 in uno scontro a fuoco in Afghanistan per cause che parevano essere riconducibili a “fuoco amico” resta senza colpevoli: il giudice ha archiviato l’inchiesta.
Anche se adesso c’è un primo punto fermo. Anzi, più di un punto fermo. A metterlo è la Gip del Tribunale di Roma, Roberta Conforti, che parla, mettendolo nero su bianco, di “contraddizioni”. Ma anche di “dichiarazioni smentite” di un commilitone. E, per la prima volta, spiega che il soldato che, al momento dell’uccisione di David Tobini si trovava nelle vicinanza, potrebbe non avere detto la verità.
A dare notizia dell’archiviazione è l’agenzia Adnkronos che in un lancio odierno spiega che nonostante ciò, il commilitone di David non verrà iscritto nel registro degli indagati. La giudice per le indagini preliminari sottolinea che “non può non osservarsi come anche laddove le indagini dovessero confermare che l’ipotesi che abbia reso false dichiarazioni al pm, non potrebbe essere elevata nei suoi confronti la contestazione” delle false dichiarazioni al pm “sussistendo la causa di non punibilità prevista dall’articolo 384 cp e, più in generale, non essendo esigibile, in ossequio al fondamentale principio secondo cui ‘Nemo tenetur se detegere’ (“Nessuno può essere obbligato a fare dichiarazioni contrarie al proprio interesse” ndr), che un soggetto renda dichiarazioni dalle quali emergano a proprio carico elementi di reità, e non potendo pertanto essere penalmente sanzionato chi non rende tali dichiarazioni“.
E secondo l’AdnKronos questa è una vicenda piena di silenzi, lettere sparite nel nulla, perizie contrastanti. Una verità che a distanza di undici anni resta ancora da scrivere, anche se ora si ha qualche elemento in più.
Anna Rita Lo Mastro, la mamma di David, non nasconde la sua grande amarezza. “La legge ha ‘ucciso’ la giustizia come quella mano che ha ferito a morte mio figlio. Ora è una certezza quel nome e non mi fermo – dice all’Adnkronos – Dopo 11 lunghi anni in cui si è nascosta la verità sono autorizzata a non credere che David sia morto per una pura fatalità. Nessuno mai ha indagato a fondo ed ora è giunto il momento che lo si faccia per rispetto a David“.
“Ho sempre pensato al doloso, oggi più che mai – prosegue la madre di David – Andremo avanti. Un modo lo troveremo, non puo’ ritenersi “ammissibile” che anni di depistaggi su quanto accaduto quel 25 luglio del 2011 abbiano offeso tradito ingannato ed infangato la memoria di mio figlio. Aggiungerei, tradendolo in ogni principio di onestà e rettitudine”. E conclude: “Una “condanna morale” sottile, come è scritta in questa ordinanza non potrà mai rendere libero un ‘uomo‘”.
Il legale della signora Lo Mastro, l’avvocato Paolo Pirani, si è sempre battuto con la donna per “avere giustizia” per la morte di David Tobini. E oggi commenta così, con l’Adnkronos, l’archiviazione della gip e il suo provvedimento.
“L’ordinanza del Gip cristallizza alcuni punti fermi che erano stati già evidenziati e rappresentati dai diversi consulenti incaricati dalla Lo Mastro. In particolare: la diversa posizione in trincea di David, il tramite della ferita, la distanza del colpo che lo ha ferito mortalmente – dice – Se solo oggi – a distanza di 11 lunghi anni – emergono, in un provvedimento giudiziario, fatti e riscontri oggettivi diversi rispetto alle versioni iniziali è merito della caparbietà e del coraggio della mamma di David che merita profondo rispetto da parte di tutti“.
Sulla morte di Tobini hanno indagato, più volte, due Procure, quella ordinaria di Roma e anche quella militare. La Procura ordinaria, con il pm Sergio Colaiocco, lo stesso che si occupa del caso Regeni e del sequestro di padre Dall’Oglio, aveva chiesto il 24 settembre del 2020 e poi ottenuto, l’archiviazione “per l’impossibilità di ricostruire in modo univoco i fatti, non conoscendo il tipo di arma da fuoco e la distanza da cui è stato esploso il colpo”. “Dalle ulteriori attività di indagini effettuate non vi sono elementi che possano permettere in maniera univoca una ricostruzione del fatto che ha portato la morte di David Tobini“, si leggeva nella richiesta di archiviazione.
Ma anche in quella circostanza la madre di Tobini si oppose. “L’inchiesta non può essere archiviata per illogicità della stessa rispetto alle risultanze probatorie“, scriveva nell’opposizione l’avvocato della famiglia, Paolo Pirani. Perché a parere del legale “il fascicolo in questione avrebbe dovuto avere ben altra conclusione, se non altro con riferimento a molteplici circostanze che avrebbero meritato maggiori approfondimenti ed adeguata considerazione“. La mamma di Tobini ha sempre parlato di “numerose contraddizioni”, che sarebbero emerse nel corso dell’inchiesta. E che ora vengono ribadite anche dalla gip nella ordinanza di archiviazione. Intanto, il colpo che ha ucciso David Tobini.
Secondo la difesa sarebbe stato un proiettile compatibile con un 5.56 in dotazione alla Nato ad uccidere Tobini. Come hanno ribadito i due consulenti della difesa, il professor Martino Farneti, che in passato si era occupato anche delle stragi Falcone e Borsellino, ed il dottor Ermanno Musto, che “sebbene abbiano lavorato separatamente ed autonomamente, sono arrivati alle medesime conclusioni”.
“Il colpo che ha attinto la testa di David è stato sparato ‘pressoché a contatto‘”, cioè a distanza ravvicinata. “Circostanza questa non affatto smentita sotto il profilo tecnico dalla Relazione del Racis“, scriveva il legale nella opposizione, che parla di “argomentazioni apodittiche, contradittorie e prive di scientificità“.
Non solo, ci sarebbe anche una contraddizione “su quello che diceva il medico legale e quello che sosteneva il Ris – diceva l’avvocato Paolo Pirani – Il Ris dei Carabinieri diceva che il colpo alla testa era posteriore mentre il medico legale diceva che era da anteriore a posteriore. Non è possibile, noi abbiamo evidenza che il colpo è posteriore”. Inoltre, l’elmetto che indossava il caporalmaggiore “non è mai stato analizzato dal punto di vista radiografico. Perché?”.
La prima inchiesta, aperta dopo la morte di David, portò a un nulla di fatto, e fu archiviata in pochi mesi. Il fascicolo fu chiuso ancor prima che fosse depositata la relazione del Ris sui reperti, molti dei quali distrutti senza essere analizzati chimicamente.
Poi, nel 2019, la riapertura delle indagini, grazie alla tenacia di mamma Annarita che continua a portare con se il basco amaranto del figlio parà. Ma cosa è andato storto nell’operazione nella valle di Khame Mullawi, quella mattina del 25 luglio del 2011, durante uno scontro a fuoco con alcuni talebani?
E’ stato un commilitone a uccidere il caporalmaggiore dell’Esercito? E’ rimasto vittima del fuoco amico’? La perizia redatta dall’esperto balistico Ermanno Musto, fa emergere che “sull’elmetto e il corpo di David ci sono tracce di ustione e combustione che testimoniano come il colpo sia stato a contatto o nella brevissima distanza“, come ha sempre ribadito l’avvocato Paolo Pirani.
Ma non è tutto perchè, come ricorda l’AdnKronos, non sono mancati i misteri in questa intricata vicenda. A partire da una lettera scritta da David Tobini alla madre che però è scomparsa nel nulla, dopo la sua morte. “Non saprò mai cosa mi aveva scritto mio figlio…“, dice la signora Annarita. David Tobini, dopo avere festeggiato il suo compleanno in Italia era ripartito per tornare in missione in Afghanistan. Ma dopo appena ventiquattro ore verrà ucciso. Adesso la gip, nella ordinanza, sottolinea che “la ricostruzione dell’accaduto resa al pm” dal soldato che si trovava in trincea con David Tobini, “sia smentita dalle altre acquisizioni investigative nonché dagli elementi offerti alla valutazione di questo giudice dalla difesa della denunciante“, cioè la madre di David Tobini. Che continua a dire: “Ho capito dal primo istante che c’era qualcosa che non quadrava nella morte di mio figlio“, dice da anni la donna. Che non si è mai rassegnata. Ma ora a confermarlo, per la prima volta, è anche un giudice.
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Comprendo per quanto mi e’ possibile il dolore di questa madre ma non riesco a capire fino in fondo la ricerca di una ” verita’” che nulla cambierebbe nella vicenda. Anche se si fosse trattato di ” fuoco amico” saremmo in presenza di un evento comunque possibile in un combattimento, non prevedibile e che nessuna pianificazione, per quanto accurata, potrà mai escludere. Uno scontro a fuoco non e’ come si vede al cinema; entrano in gioco numerosi fattori: paura, ansia, confusione, difficoltà ad individuare la direzione della minaccia, difficoltà di coordinamento…Basta leggere il libro del Gen. Ricco’ “I diavoli neri” sul combattimento del 2 luglio 1993 a Mogadisho per rendersene conto (specie chi non ha mai vestito una uniforme e non è mai stato impegnato in missioni fuori area). Esprimo tutto il mio affetto alla mamma di David ma mi auguro che la vicenda termini qui.