Slitta la sentenza a carico di Pietro Genovese prevista per questo pomeriggio, venerdì 30 ottobre, per il processo con rito abbreviato a carico del giovane romano accusato di omicidio plurimo stradale per aver investito e ucciso nella notte tra il 21 e il 22 dicembre a Corso Francia le due amiche Camilla Romagnoli e Gaia Von Freymann.
A deciderlo il Gup Gaspare Sturzo che, rinviando la sentenza, con un’ordinanza ha chiesto di ascoltare in tribunale i testimoni che quella notte hanno assistito all’incidente e i consulenti che nel febbraio scorso si occuparono della maxi perizia. Due le nuove udienze fissate per novembre, il 4 e il 14.
La condanna a 5 anni
Il 28 settembre scorso, nel corso della prima udienza, il pm di Roma Roberto Felici aveva richiesto una condanna a cinque anni di reclusione per Genovese, richiesta pervenuta dopo che prima dell’estate la difesa del ventunenne aveva proposto il patteggiamento (due anni e mezzo di reclusione con sospensione della pena).
Ma proprio questa mattina, in attesa della sentenza che sarebbe dovuta arrivare nel pomeriggio, la mamma di Gaia davanti alle telecamere, chiedendo a gran voce giustizia per la tragica morte delle due ragazze, aveva chiarito un passaggio fondamentale sulla richiesta di condanna per il giovane: “Quello che vogliamo è giustizia, non vendetta; Genovese rischia 21 anni, condanna che con il rito abbreviato può prevedere la riduzione di un terzo della pena. La richiesta dei 5 anni fatta dal pm resta per noi una richiesta assurda, ora spetta al magistrato decidere; sono state uccise due ragazze innocenti, due bambine sane che avevano voglia di vivere”.
Già a settembre scorso, fuori dal tribunale, le famiglie di Gaia e Camilla avevano contestano la richiesta di condanna mostrandosi profondamente deluse dal comportamento del giovane romano in aula: “Sembrava una recita, lui era indifferente a quello che è successo. Non si è mai voltato a guardarci, non ha mai chiesto perdono” – aveva affermato Cristina Romagnoli, la mamma di Camilla, al termine dell’udienza, mentre Pietro ripercorrendo tutte le fasi di quella tragica sera, aveva confermato la versione dei suoi legali aggiungendo di “non aver visto le due ragazze” e di “essere ripartito con il verde”.
Nell’incontro successivo del 16 ottobre le parti civili avevano ripercorso nuovamente tutte le fasi di quella notte, accusando il ventunenne di non aver mostrato alcun pentimento per il gesto compiuto e soprattutto di mentire nella ricostruzione dei fatti.
Secondo la Bongiorno, legale del papà di Gaia, le affermazioni di Pietro Genovese “sarebbero state disseminate di sette bugie” e certa della falsità delle dichiarazioni del giovane sulla ricostruzione dell’incidente aveva aggiunto: “Ha investito le due ragazze andando a 90 all’ora come una pallottola impazzita: la macchina si è fermata sulla rampa, molto dopo il punto l’incidente”.
Non solo, i legali delle due famiglie avevano insistito sull’”errore clamoroso” che sarebbe stato effettuato dalle forze dell’ordine nel corso della ricostruzione dell’incidente; secondo la Bongiorno infatti non ci sarebbero dubbi sul fatto che Gaia e Camilla siano state investite sulle strisce pedonali; la prova sarebbe la targa del suv caduta in terra con l’impatto e rinvenuta proprio in quel punto.
Della stessa idea anche l’avvocato Piraino, che addirittura aveva sostenuto che la presenza della targa sulle strisce sarebbe stata scoperta mesi dopo. E per questo la consulenza dell’accusa non avrebbe potuto esaminare quest’aspetto.
La ricostruzione dei fatti
Restano comunque discordanti le versioni delle due parti sulla dinamica dell’incidente: mentre i legali delle famiglie di Gaia e Camilla sostengono appunto che le due ragazze quella notte avrebbero attraversato sulle strisce pedonali, Franco Coppi e Gianluca Tognozzi, difesa del giovane, confermano invece che Genovese si sarebbe fermato al semaforo per poi ripartire con il verde.
Dagli atti depositati in Procura sulla ricostruzione dell’incidente, perizia effettuata dai tecnici del pubblico ministero la sera dello scorso 10 febbraio e che a questo punto saranno ascoltati nelle prossime udienze, emerge che Gaia e Camilla quella notte non avrebbero attraversato sulle strisce pedonali ma in un tratto di strada poco visibile, esattamente 18 metri più avanti.
Non solo, secondo la ricostruzione, quella sera e in quelle circostanze Genovese non avrebbe potuto evitare in nessun modo l’impatto con le due ragazze; questione di attimi sostengono i periti, probabilmente di un solo secondo e mezzo, il tempo giusto che avrebbe impedito a Genovese di investire le due ragazze. In sostanza, in quel punto e in quel momento le due amiche non potevano vedere ed evitare l’auto del ventenne e viceversa.
Secondo i rilievi effettuati se l’auto su cui viaggiava Genovese avesse rispettato il limite di 50 km/h fissato per quel tratto di strada, sarebbe sopraggiunta sul luogo dell’impatto con le due giovani esattamente un secondo e mezzo dopo, frazione di tempo in cui molto probabilmente Gaia e Camilla avrebbero completato l’attraversamento pedonale, evitando così l’incidente fatale.
La posizione di Pietro, su cui già pesava appunto l’accusa di viaggiare a 90 km/h – ben oltre il limite di velocità fissato per quel tratto di strada a 50 km/h – e con un tasso alcolemico tre volte superiore a quello consentito, si era aggravata per violazione dell’art. 173 del codice della strada che prevede il divieto di usare il telefono durante la guida: un’informativa della Polizia Postale allegata agli atti dell’indagine aveva confermato infatti che Genovese nel momento dell’impatto con le due giovani stava utilizzando whatsapp.
Ludovica Panzerotto
© RIPRODUZIONE RISERVATA