Home CRONACA Isola Farnese, quel misterioso omicidio irrisolto

Isola Farnese, quel misterioso omicidio irrisolto

pistola
Galvanica Bruni

La notte tra il 23 e il 24 giugno del 1986 c’era la luna piena ma i lupi mannari con questa storia non c’entrano niente.

Quella notte, a Isola Farnese, nel Parco archeologico di Veio in prossimità della necropoli etrusca, si consumò un delitto destinato a rimanere irrisolto: quello di Luciano Hani Tarek, studente di biologia di 29 anni, freddato con un colpo al cuore sparato da una pistola che non verrà mai ritrovata e da un omicida mai individuato.

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Il caso ebbe grande eco nelle cronache dei giornali,  lo chiamarono il delitto della notte delle streghe, perché per i romani, secondo un’antica tradizione popolare, quella di San Giovanni è davvero la notte in cui le streghe vanno in giro per la città a catturare le anime. E la magia, in qualche modo, c’entra anche in questo caso.

Luciano, ragazzo di buona famiglia borghese, figlio di un immigrato egiziano e di un’italiana, era un appassionato di esoterismo e insieme al suo amico e mentore Giuseppe Costa, 52 anni, professore di liceo, esperto di parapsicologia ed etruscologia, si era recato nell’area archeologica in prossimità del Borgo di Isola Farnese per captare “le misteriose oscillazioni del luogo”.

Dicono che ci siano “Forze di natura occulta”

La zona, infatti, oltre a presentare ovvi spunti d’interesse storico e archeologico, è da sempre meta di appassionati di discipline magiche in quanto è considerata una sorta di “Triangolo delle Bermude” in salsa laziale, il punto di convergenza di un coacervo di energie enigmatiche come la civiltà che da quelle parti era di casa più di 2500 anni fa.

I resti dell’antica città di Veio si trovano su un ampio pianoro delimitato dai fossi del Piordo e della Valchetta. Vi si accede per una stretta strada che costeggia il cimitero di Isola Farnese e finisce davanti ad un ruscello e ad un burrone. Per arrivare accanto alle rovine si passa per un ponticello che scavalca una cascata e poi per un viottolo scavato nella roccia.

cascata-veioQui, nel corso degli anni, e a detta di vari testimoni succedutisi nel tempo, sembra si sia verificata una serie di fenomeni apparentemente inspiegabili che molti hanno ricondotto a forze di natura occulta: figure evanescenti che spuntavano dal nulla, fantomatici personaggi in tunica e calzari, strani bagliori e addirittura avvistamenti di UFO.

Luciano Hani Tarek e Giuseppe Costa erano quindi solo due dei tanti avventurieri che ciclicamente si inerpicavano di notte per quei sentieri impervi alla ricerca di vibrazioni particolari.

La storia di quella notte maledetta

I due si conoscevano bene. Costa insegnava all’Istituto Tecnico di Rignano Flaminio ed era stato professore di Luciano ai tempi delle superiori. E quest’ultimo frequentava casa del professore ed era anche amico dei suoi due figli, pure loro appassionati della stessa materia, tanto che spesso tutti insieme partecipavano alle sedute.

La storia di quella notte maledetta inizia con una coppietta appartata in un auto poco distante dal luogo dell’accaduto. I due fidanzati, nel mezzo delle loro effusioni, sentono due spari echeggiare in lontananza ma sulle prime non gli danno molta importanza e tornano alla loro intimità come se niente fosse.
All’improvviso, però, sobbalzano nell’abitacolo sentendosi bussare insistentemente sul finestrino.

E’ Costa. Il professore è in evidente stato di shock e chiede ai due ragazzi di andare a chiamare i carabinieri: cellulari e smartphone ancora non esistono e il primo telefono pubblico si trova a diversi chilometri di distanza.

Quando arrivano le forze dell’ordine Costa è ancora in confusione ma riesce a guidarli attraverso il viottolo sterrato della necropoli, raggiungendo uno dei suoi templi più antichi.

antica-citta-veioIl corpo di Luciano

Qui giace il corpo di Luciano, privo di vita e riverso in una pozza di sangue. Come risulterà dalla perizia necroscopica, è stato freddato con una pistolettata al cuore.

Ovviamente i primi sospetti ricadono tutti sul professore, ma col passare delle ore i suoi ricordi diventano più nitidi e il racconto dell’uomo sembra non presentare particolari contraddizioni.

Nella sua versione, lui e il ragazzo, verso le 22:30, si sono avventurati da soli all’interno della necropoli. Giunti in prossimità del tempio pagano intravedono alcune figure muoversi furtivamente nell’oscurità. Tentano di allontanarsi ma si rendono conto di essere circondati e subito dopo vengono fatti oggetto di un lancio di pietre. Qualcuno urla “droga, droga, dà a noi droga”. Luciano si avventa contro uno di loro ma uno sparo gli squarcia il petto.

Il proiettile, di grosso calibro e sparato da brevissima distanza – come stabilirà l’autopsia – ha toccato il cuore provocando un’emorragia e si è fermato più in basso contro una costola. Il ragazzo perde molto sangue ma non muore subito. Urla all’amico di cercare soccorso mentre gli assalitori – tre giovani di colore, rivelerà poi Costa – si dileguano nell’ombra.

L’uomo guadagna di corsa la statale e chiede aiuto alla coppietta ma quando torna sul posto coi carabinieri il ragazzo è morto. Agli investigatori il super-testimone racconterà che l’uomo che ha sparato era basso e poco robusto e riferirà di tre spari dei quali solo uno andato a segno.

antica-citta-veio-2Il suo racconto solleva più di un interrogativo

Intanto, perché invece di chiedere aiuto ai due fidanzati non è andato direttamente lui con la sua macchina a chiamare i carabinieri? E poi perché la coppietta, interrogata, ricorda solo due spari mentre Costa parla di tre?

E ancora, perché gli aggressori prima di fare fuoco li hanno presi a sassate? E l’arma del delitto che fine ha fatto?

Circolarono le ipotesi più varie sull’accaduto: dalla seduta spiritica finita nel sangue ad un gioco erotico dal tragico epilogo; dall’eliminazione accidentale di un testimone scomodo da parte di malavitosi o balordi alla reazione eccessiva di tombaroli colti in flagrante.

Inchiesta archiviata

Tuttavia dai rilevamenti della scientifica non emersero elementi contro Costa. Le accuse nei suoi confronti caddero e l’inchiesta, non essendo giunta a nessun risultato certo, alla fine venne archiviata.

Decenni dopo, le uniche certezze sul caso restano la luna piena e la nefasta coincidenza che Tarek, il cognome del ragazzo, in egiziano significa “colui che chiama la notte“.

Valerio Di Marco

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