
Ponte Flaminio è uno dei ponti più maltrattati e trascurati di Roma; la ragione è forse da ricercare nel fatto che è poco frequentato dai pedoni. Giusto chi va a prendere il bus le cui fermate sono posizionate alle due estremità.
Opera dell’Ing. Brasini (autore fra l’altro di Villa Brasini e dell’ingresso monumentale del Bioparco), ponte Flaminio è invece una specie di pista da corsa su cui sfrecciano ogni giorno migliaia di auto.
Chi invece decide di affrontarlo a piedi deve predisporsi a uno spettacolo deprimente: grandi scritte sui marmi, centinaia di piccole scritte in ogni angolo, grumi di lucchetti appesi alle inferriate, erbacce in ogni fessura, acqua putrida nelle vasche e poi la grande fontana (direzione sud) ripiena di acqua stagnante dove cresce verdissima la “Lisca” (o Typha), pianta bellissima che si sviluppa nei terreni paludosi e negli acquitrini.
Neppure il bravo ingegnere avrebbe potuto pensare che il suo ponte con gli alti fanali e le aquile imperiali sarebbe stato terreno fertile per una pianta di palude.
Che il ponte sia invaso dalle erbacce ci può anche stare dal momento che tutta Roma in questo periodo primaverile è letteralmente ricoperta da erba alta visti i problemi del Campidoglio e dei Municipi con gli appalti per lo sfalcio, ma quelle decine di bottiglie di birra abbandonate sui gradini sono i sintomi di un male più grave che si chiama sciatteria, anzi menefreghismo.
E’ il male di questa epoca che si accanisce contro la capitale e che sembra non abbia idonea cura per essere fermato. Nel lontano passato veniva combattuto a colpi di scopa dai cosiddetti “scopini”, uomini armati di ramazza di saggina e carrello che mantenevano pulite strade e ponti. Estinte queste figure, sono subentrate le macchine, quelle che sui gradini di ponte Flaminio di sicuro non ci vanno.
E così quelle decine di bottiglie sono destinate a rimanere sul ponte dell’Ingegner Brasini chissà per quanto. Ma almeno si potrà dire a ragion veduta che lì si corre a tutta birra.
Francesco Gargaglia
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Per chi di noi ha vissuto a pochi passi dal Ponte Flaminio, di ricordi ne ha tanti, Corso di Francia si chiamava Via Caio Flaminio, allora in splendida forma, le fontane erano regolarmente mantenute, il biancore dei travertini illuminati dal sole lo rendevano splendente, le alte torri imperiali visibili da tutta Roma, di giorno, e splendidamente illuminate di notte, davano il benvenuto a chi entrava in città dalla Cassia e dalla Flaminia. Che cosa è rimasto di tutto ciò ? Si succedono le amministrazioni comunali ma il “paziente” giace in abbandono, le luci delle alte torri sono spente da una decina di anni, almeno quelle in rispetto dell’ing. Brasini dovranno ancora risplendere di luce perenne.
Mi rivolgo alla direzione di Vignaclarablog per avviare una campagna di sensibilizzazione per “fare luce” e ridare vita al Ponte dell’ing. Brasini.