Polemizzare è un’abitudine, una consuetudine, un problema. Nei giorni scorsi è salita alla ribalta la bega legata all’intitolazione dello stadio Olimpico a Paolo Rossi.
Ora, a prescindere dal fatto che esisterebbero problemi maggiori da risolvere, viene da ripensare a quell’estate del 1982 quando Pablito, insieme ad altri 21 corsari, fece in modo che si scendesse in strada a sventolare il tricolore per quel Mundial conquistato contro tutto e tutti.
Ma a distanza di quarant’anni la memoria storica pare svanita, e ci si ritrova a dibattere se sia il caso o meno di dedicare lo stadio della città eterna all’ex centravanti azzurro.
Situazione assurda, se si dice «ma non era romano e neanche ha giocato con le squadre romane», se si pensa per esempio al fatto che lo stadio del tennis sia dedicato a Nicola Pietrangeli, tunisino di nascita con radici russe.
Funziona così, alle pendici di Monte Mario se si ipotizza qualcosa, c’è subito qualcuno pronto a mettere il bastone fra le ruote. Il palazzo del calcio può fare quel che vuole, dedicare lo stadio a Paolo Rossi o a Tuzzibanchi Nicola, e in ogni caso si dovrebbe per lo meno plaudire l’idea.
Invece no, meglio contestare, e mai come stavolta il categorico «no!» somiglia tanto a quella domanda tanto in voga fra i presenzialisti: «Mi si nota di più se partecipo o se sono assente?».
Massimiliano Morelli
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