Se volessimo scoprire com’è fatta una moschea non potremmo che partire dalla Grande Moschea di Roma, che ha nel nome la sua rilevanza non solo in termini di dimensioni – è la più grande d’Europa – ma anche del ruolo che svolge come punto d’aggregazione per i musulmani della Capitale.
La struttura è adiacente ai campi sportivi dell’Acqua Acetosa e si trova in via della Moschea, accessibile da viale Parioli, via di Ponte Salario o via del Foro Italico. La grande costruzione in travertino e cotto è chiaramente riconoscibile dalla strada ed è caratterizzata dal minareto che svetta su un edificio cupoidale con sopra la mezza luna simbolo dell’Islam.
Il complesso si estende su 30mila metri quadri ed è sovrinteso dal Centro Islamico Culturale d’Italia, l’unico ente musulmano riconosciuto ufficialmente dalla Repubblica Italiana e considerato il polo dell’Islam moderato a Roma.
Un aggettivo, moderato, che sottintende l’esistenza di un altro Islam che non lo è. Ma è solo un equivoco lessicale perchè l’Islam è uno solo e il suo spirito autentico, pacifico ed inclusivo è incarnato in questo luogo immerso nel verde alle pendici dei Monti Parioli.
Per dire, lo scorso luglio, dopo l’uccisione nella chiesa francese di Rouen di Padre Jaques Hamel da parte di due attentatori dell’IS, il Centro emise un comunicato con cui condannava duramente ogni forma di radicalismo e terrorismo. Ma la stampa di queste cose parla poco per cui sembra sempre che i musulmani in Occidente non condannino l’integralismo.
E così il dibattito sull’integrazione tra comunità islamica e cristiana s’inasprisce e sfocia spesso in diffidenza e odio nei confronti dei musulmani, come si vede anche sulla pagina FB della Moschea. Qui, tra i messaggi entusiasti da parte di visitatori e adepti campeggia pure qualche post che varca i confini già estremi dell’islamofobia ed entra in quelli dell’ignoranza più bieca.
L’Islam in Italia e a Roma
L’Islam è la seconda religione in Italia, con un milione e seicentomila fedeli, e Roma è tra le province che contano il maggior numero di residenti islamici. Sono circa centoventimila, di cui 32 mila bengalesi, e in alcuni quartieri il loro numero raggiunge il 40 % dei residenti.
Al Casilino o al Prenestino, infatti, “multiculturalismo” è una parola che già da tempo descrive una realtà di fatto. Ma anche nelle zone più a nord il fenomeno è in divenire. Che poi in molti casi l’integrazione nel tessuto sociale preesistente sia ancora lungi dal realizzarsi è un altro discorso.
Le “moschee in garage”
E che la convivenza sia problematica lo dimostrano episodi come la recente chiusura ordinata dalle autorità di tutte le moschee non autorizzate della Capitale che ha portato lo scorso 21 ottobre la comunità bengalese, appoggiata anche da un’altra parte di musulmani di Roma, a protestare davanti al Colosseo.
Da giugno infatti i vigili stanno controllando negozi, scantinati e magazzini che sono usati come moschee. Perchè bastano quattro mura ed un soffitto a farne una. Del resto anche Gesù diceva che “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. L’Islam poi non è una religione verticistica, con gerarchie e livelli di comando, ma “orizzontale”. Sono sufficienti un imam a guidare la preghiera e i fedeli a seguirlo.
Di “moschee in garage” a Roma ne sono state chiuse quattro fra giugno ed ottobre e ne sono state censite una quarantina. Ma è impossibile fare una stima precisa perchè c’è un vuoto legislativo che non permette l’emersione di luoghi istituzionali e costringe i musulmani a pregare dove possono.
Questi luoghi non sono visibili e sono scarsamente interessati alla comunicazione esterna. Il loro collegamento, ove esiste, è informale e si avvale prevalentemente dei canali internet dove la comunicazione – manco a dirlo – è esclusivamente in arabo.
L’ovvio trambusto che si crea nei palazzi dove vengono allestite queste aree spesso insospettisce i condomini che temono che nello scantinato del loro stabile si stia pianificando la jihad. Tant’è vero che la quasi totalità delle segnalazioni è arrivata da loro e i conseguenti controlli dei vigili hanno evidenziato abusi edilizi e violazioni delle norme sulla sicurezza all’interno dei locali.
E a Roma Nord? Al momento non si conoscono casi censiti di scantinati o magazzini adibiti a moschee clandestine nel quadrante nord di Roma, però è un fatto la presenza di molti immigrati di religione islamica che vivono e lavorano a Roma Nord generando un significativo indotto economico.
In zona Cassia-Grottarossa, ad esempio, c’è una folta comunità di musulmani data dal fatto che molti di loro lavorano come colf o badanti. Ma anche a Cesano, Labaro, Giustiana, Prima Porta.
Al cimitero Flaminio c’è un’area riservata ai defunti di religione islamica. A Tor di Quinto, invece, ogni mattina schiere di stranieri, in larga parte asiatici e africani, si radunano sul marciapiede davanti lo “smorzo” all’altezza del ponte della Tangenziale in attesa del primo furgone che li porterà al lavoro in qualche cantiere edile nelle vicinanze.
Per non parlare dei molti esercizi commerciali gestiti da loro, i classici mini-market con frutta, verdura e altri generi alimentari che ormai troviamo praticamente ovunque e restano aperti fino a 18-20 ore al giorno. In via della Farnesina, uno di questi è stato chiuso lo scorso settembre per mancato rispetto delle norme igienico-sanitarie e di sicurezza.
Norme sulle sicurezza che non vengono rispettate neanche nelle moschee “fai da te”, spesso allestite in spazi che non sono stati creati per ospitare più di un certo numero di persone.
E anche se il fenomeno riguarda maggiormente i quartieri sud-est della Capitale, uno dei locali chiusi dalla Municipale si trovava in via Fioravanti, zona Salario, meno di un chilometro in linea d’aria dalla Grande Moschea.
“Questi luoghi si sono sviluppati per necessità – ci spiega Omar Camiletti, coadiutore del Centro Islamico Culturale d’Italia – perchè molti hanno bisogno di un posto dove pregare che sia vicino a dove abitano. Il problema è che non c’è mai stata un’educazione civica per cui lo sviluppo ha seguito regole precise. Si sono allestite sale per la preghiera senza permessi o destinazioni d’uso facendo lavori in maniera abusiva. Che tipo di lavori? Ad esempio, dal momento che la preghiera necessita di uno stato di purificazione per cui è previsto il lavaggio di mani, capo e piedi, in questi locali serve molta acqua. Ebbene, gli allacci per portarcela spesso non vengono fatti a norma. Noi come Centro cerchiamo di far capire a tutti che in una città come Roma non si può fare quello che si vuole ma che bisogna rispettare le regole, sempre.”
Dentro la Moschea
Ma torniamo alla Grande Moschea. L’edificio fu inaugurato nel 1995 dopo undici anni di lavori che ebbero come risultato un’interessantissima commistione tra stile arabo e romano. Come a dire che la mutua accettazione inizia dalla forma degli edifici.
L’interno è caratteristico, difficile imbattersi in qualcosa di simile altrove. Sia negli spazi all’aperto che in quelli al chiuso la parola d’ordine sembra essere “simmetria”. La sala per la preghiera è molto grande e per entrare bisogna togliersi le scarpe. Il pavimento è interamente ricoperto da un tappeto con finissime decorazioni.
Così come decorate sono le mura, con piastrellato tipicamente arabeggiante e scritte varie, anch’esse in arabo. Dal soffitto pendono enormi lampadari che arrivano quasi a toccare le nostre teste.
“Nei due giorni di maggiore affluenza dell’anno – è ancora Camiletti a parlare – abbiamo tra i 35 e i 40 mila fedeli. Si tratta della rottura del digiuno di Ramadan e del ricordo del sacrificio di Abramo. In quei casi siamo costretti a fare più preghiere. Tuttavia nei giorni normali il numero di presenze si attesta intorno alle 2.500-3.000 unità“.
Da che zone provengono ? “Pregare il venerdì in collettività è una dimensione meritoria per l’Islam per cui molti si fanno scrupolo di raggiungere la Moschea da tutta Roma. Ovviamente vediamo di buon occhio la costruzione di nuove moschee, come sta avvenendo in altre parti della città, perchè una sola non basta più. L’importante è che le nuove costruzioni vengano sempre fatte di concerto con l’amministrazione pubblica“.
Purtroppo molti occidentali associano l’Islam al terrorismo, magari senza volerlo. Colpa in larga parte di una fetta dei mass-media che veicola un concetto distorto della religione di Allah. Ma la colpa è anche dell’esclusione sociale a danno degli stranieri, specialmente nelle periferie, che può portare in particolar modo i più giovani a subire la fascinazione del radicalismo.
“Noi musulmani – ribatte Camiletti – ci riteniamo parte del tessuto civile, storico e plurireligioso dell’Italia di oggi. Perchè Roma è e deve continuare a svilupparsi come una città multiculturale, alla pari di Londra, Berlino, Parigi. Si può essere italiani e musulmani. Ma ripeto, l’osservanza della legge è “conditio sine qua non”, non ci piacciono ghetti e autoghettizzazioni. Dobbiamo combattere con le idee ogni forma di radicalismo, anche agli albori. Un Islam politicizzato o rigorista che si autoghettiza è sbagliato e vogliamo contrastarlo“.
Un’idea per l’integrazione
Per facilitare il dialogo a partire dalle periferie un’idea potrebbe essere la realizzazione di centri culturali multireligiosi, delle strutture simili a parrocchie che potrebbero ospitare al loro interno più spazi di preghiera per le diverse religioni e poi prevedere attività ricreative di gruppo.
Come la vedreste? “Il dialogo interreligioso va senz’altro incoraggiato e abbiamo già delle strutture dove questo multiculturalismo è garantito. All’ospedale San Filippo Neri di Monte Mario, per dire, è stata allestita una sala di preghiera per i pazienti di religione musulmana. Tuttavia, personalmente, non vedrei di buon occhio questi centri di cui lei parla perchè c’è un rapporto intimo tra credente e culto che non va scardinato. I riti credo meritino ognuno un proprio spazio. L’importante è che esistano luoghi pubblici di confronto e coabitazione“.
Quali nello specifico? “Beh io ad esempio l’anno scorso sono andato all’apertura della Porta Santa in Vaticano. Inoltre portiamo spesso i nostri ragazzi a visitare le chiese, così come molti cristiani vengono a visitare la nostra moschea. Ci dev’essere un momento di condivisione ma avere spazi separati di preghiera è quasi un obbligo. Bisogna rispettarsi ma non si può fare una melassa, sennò il messaggio stesso delle religioni verrebbe snaturato.”
Valerio Di Marco
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