Se Milano è la sede di Expo, Roma non è da meno e ospita anche lei la sua bella mostra sul cibo. Fino all’8 novembre, infatti, al MAXXI di via Guido Reni sarà possibile visitare “Food – Dal cucchiaio al mondo”, un percorso multidisciplinare che ruota intorno al concetto dell’alimentazione.
Mangiare sì, una delle funzioni vitali per l’organismo. Funzione che ancora oggi a molti è preclusa.
Che poi se da una parte il cibo in alcune zone del mondo scarseggia, dall’altra lo si spreca in quantità industriali nelle aree più sviluppate. Squilibri che neanche l’uomo del XXI Secolo è riuscito a risolvere. Ma per quello servirebbe più di una mostra. Anche perchè il confine tra auto-promozione e reale volontà di “nutrire il pianeta” a volte è inesistente.
Ad ogni modo, che se ne parli è già qualcosa. A Milano come a Roma. Il percorso della mostra capitolina è un interessante excursus sul tema del cibo in tutte le sue dimensioni. Sei, per la precisione. Dalla più piccola, il corpo umano, alla più grande, il mondo. In mezzo ci sono la casa, la strada, la città e il paesaggio. Dal micro al macro. Dall’ “io” al “noi”.
All’interno di ogni sezione sono stati raccolti materiali di vario tipo – opere di architettura, lavori di artisti e fotografi, documenti, storie – per parlare del cibo lungo tutte le fasi che stanno tra la produzione e lo smaltimento/riciclo all’interno dello spazio di vita e di relazione delle persone e delle comunità. Insomma, una mappa concettuale del cibo e dei suoi movimenti.
Si comincia dal corpo, sezione in cui si indaga sugli aspetti personali e intimi dello spazio legato al cibo. Qui è possibile ammirare una serie di scatti del fotografo Henry Hargreaves raffiguranti gli ultimi pasti consumati in carcere da alcuni condannati a morte storici negli Stati Uniti.
“Hey, stiamo per ucciderti. Cosa vorresti mangiare prima di morire ?”. E qui le scelte di alcuni di questi “dead man walking” fanno venire voglia di prendere il loro posto. Solo per il pranzo, s’intende. Si va dalla coda di aragosta al pollo fritto alla bistecca di manzo alla torta di mele.
C’è anche l’ultima cena consumata da Sacco e Vanzetti. Allora non c’era McDonald’s ma gola e fantasia andavano a braccetto comunque.
La sezione “casa”, invece, ripercorre lo sviluppo dell’ambiente domestico dove il cibo si conserva, si prepara e spesso si consuma: la cucina come spazio fisico e sociale. Dalla “kommunalka” sovietica di leniniana memoria alla “Frankfurter Kuche”, antesignana delle moderne cucine che, con l’arrivo degli elettromestici, iniziarono a cambiare i rapporti interni nelle famiglie. Così come i “tupperware”, i coperchi di plastica a chiusura ermetica per la conservazione del cibo.
La sezione “street”, invece, analizza il rapporto tra strada e cibo. La strada è il luogo dove il cibo si mangia, si vende, si compra, si trasporta. E così scopriamo che a Mumbai esistono i “dabbawala”, sorta di fattorini che su richiesta consegnano il cibo in ufficio dopo averlo ritirato da casa. Perché ad una zuppa preparata dalla bella mogliettina non si rinuncia neanche se si deve restare incollati alla scrivania.
Così come a Seul è in funzione il virtual store ” Tesco Homeplus” che permette di fare acquisti di beni di prima necessità direttamente dal cellulare. Pane, latte, carne, formaggio, ma anche articoli da regalo: si paga on-line e la consegna è a domicilio. Buono se non si è avuto il tempo di passare dal supermercato.
Dalla strada, poi, si passa alla città e si osserva come nell’ultimo secolo la distribuzione del cibo ha cambiato gli scenari metropolitani grazie alla costruzione dei supermercati, vere e proprie cattedrali dell’acquisto. In Italia fu la Esselunga di Vimercate uno dei primi centri a conquistarsi una “dignità” artistico/architettonica trasformandosi, all’inizio degli anni ’80, da capannone decorato ad edificio.
Si passa poi al paesaggio agrario, isola formale in cui l’architettura trova un approdo sicuro nella “wilderness”, dalle torri polacche per la raccolta del sale ai molti modi nuovi di sovrapporre la qualità del progetto alla produzione agricola: cantine, fattorie sperimentali, “genoscopi”.
Infine, l’ultima sezione della mostra è il “mondo”, poichè il cibo disegna anche l’assetto globale e il futuro del nostro pianeta. Un futuro che rimandiamo sempre ma che invece è già qui.
Valerio Di Marco
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