L’acqua non ci sono aggettivi per definirla. L’acqua è l’acqua. Bagnata, trasparente…Sì insomma, universale. Ma c’è un posto, più di ogni altro, dove l’acqua meriterebbe di prendere la cittadinanza, e questo posto si trova ad un’ora di macchina da Roma nord. Basta prendere l’A1 verso Viterbo oppure percorrere tutta la Cassia sempre nella stessa direzione.
Nepi, la “città dell’acqua”, prende il nome dalla parola etrusca “nepa” – acqua appunto – ed è uno dei comuni più popolosi e grandi della Tuscia. Diecimila abitanti per ottomila ettari di estensione in cima ad un promontorio solcato a valle da due affluenti del fiume Treia, il Rio Puzzolo e il Rio Falisco.
L’acqua è quindi nel destino di questa città, fin dalle origini. Leggenda narra che la divinità adorata dagli antichi abitanti di qui fosse un serpente, ovviamente acquatico, che nel giorno della fondazione della città affiorò in superficie per “benedire” il nuovo insediamento di cui Termo Larte, il mitico fondatore, era intento a tracciarne il solco a delimitazione del territorio.
Nepi era una città falisca – come molte altre in questa zona – dalle origini molto più antiche di Roma, anche se con Roma – almeno per un certo periodo – fu alleata, come si evince da uno scritto di Tito Livio risalente al 383 a.C. Anche perchè i Romani litigavano con tutti ma se una popolazione gli conveniva di più farsela amica diventavano dei veri compagnoni. E la convenienza in questo caso stava nel fatto che per estendere la propria sfera d’influenza, la Repubblica aveva bisogno anche di amici, oltre che di nemici. Divide et impera.
Numerosi sono i resti di epoca romana (molti dei quali custoditi all’interno del Museo Civico di Nepi, nella Sala Nobile del Palazzo Comunale) disseminati in questo territorio, dalle ville patrizie ai templi in onore delle divinità, passando per l’Anfiteatro di Augusto e le Terme dei Gracchi, che sorgevano poco distante da dove oggi è situato lo stabilimento delle famose acque minerali che prendono il nome dalla città. Non a caso la zona si chiama Graciolo proprio per ricordare la nobile famiglia proprietaria delle terme.
Ma si sa, la comunicazione è tutto. E allora con Nepi bisognava creare un collegamento che permettesse di raggiungerla da Roma nel minor tempo possibile. La soluzione fu la via Amerina, inaugurata nel 240 a.C., che collegava la “Caput mundi” con Ravenna passando per i principali centri dell’Umbria, centri di cui Ameria – da qui il nome della strada – era il primo che s’incontrava.
Ma poi, calata la notte sulla Repubblica poi diventata Impero, arrivarono quei bruti dei barbari, che tra le tante devastazioni portate a termine non risparmiarono certo Nepi: nel 568 d.C. la città fu completamente distrutta e saccheggiata dai Longobardi di re Alboino.
E nel VIII Secolo fu proprio un nobile nepesino di stirpe longobarda, il duca Totone, a partire da Nepi e discendere su Roma per conquistarla ed interferire addirittura nel conclave per far eleggere al soglio pontificio suo fratello col nome di Costantino II. Ma il nuovo Papa durerà poco, un anno scarso, poichè nell’agosto del 768 verrà prima deposto, poi imprigionato e infine fatto accecare da Desiderio II, capo longobardo rivale di Totone. Ci fossero state le guardie svizzere forse sarebbe andata diversamente.
Nel 1131 Nepi si costituì in Libero Comune, poi divenne possedimento feudale sotto Federico II e successivamente fu data in concessione alle famiglie Orsini prima e Colonna poi.
Ma fu un altro papa ad essere importante per la città, vale a dire l’incestuoso Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, che nel 1499 la elevò (la città nel frattempo era passata sotto il dominio dello Stato Pontificio) al rango di ducato e la donò alla figlia Lucrezia, tanto amata dai nepesini.
E furono proprio i Borgia a far costruire l’omonima Rocca che, ancora oggi, è una delle principali attrazioni della città.
L’edificio è stato recentemente ristrutturato e restituito ai cittadini, dopo secoli di abbandono, quale sede di manifestazioni ed eventi culturali, come la rassegna Serate Borgiane, che quest’anno si concluderà il 2 settembre. Perchè Nepi è anche cultura, storia, tradizione. E la tradizione vuole che anche questa città sia suddivisa in contrade. Quattro, per la precisione: Santa Maria, San Biagio, Santa Croce e La Rocca. Tutte rivali e con una propria bandiera. Roba d’altri tempi.
Anche la cucina è d’altri tempi. Qui naturalmente si mangia da dio. Strozzapreti, abbacchio, fagioli con le cotiche, fritti, romanella: le specialità del posto non si contano, e se siete buone forchette non potevate capitare meglio. Anche perchè il bello di una gita fuori porta è anche la “pennica” pomeridiana su una delle tante panchine del centro, prima di rimettervi in moto alla scoperta delle bellezze del luogo.
Bellezze tra cui rientra il palazzo del Municipio, in stile rinascimentale, con la fontana al centro del portico ad opera dell’architetto Filippo Barigioni che raffigura lo stemma della città, ossia la torre con il serpente che si attorciglia ai suoi piedi.
Ma nella città dell’acqua poteva mancare l’acquedotto ? Certo che no. Quello di Nepi ci vollero quasi due secoli per realizzarlo. Perché così tanto ? Perché portare l’acqua ad una città sembra facile ma non lo è. Neppure qui. E indovinate chi risolse la questione ? Ovviamente Filippo Barigioni – sempre lui – il quale progettò le imponenti arcate che ancora oggi si possono ammirare e che resero possibile l’afflusso dell’acqua al centro abitato.
E le chiese? A Nepi c’è l’imbarazzo della scelta. La più importante è la Cattedrale, che la tradizione vuole esistente addirittura già nel V Secolo. Da segnalare che nel 1798 fu data alle fiamme dalle truppe francesi in fuga dall’agguerrito esercito borbonico. Che se fosse stato così bravo pure coi piemontesi oggi forse racconteremmo un’altra storia e non discuteremmo di riforme del Senato.
Altre importanti chiese a Nepi sono quella di San Biagio (X Secolo), San Pietro (XIII Secolo), San Vito (XIV Secolo, ma forse antecedente) e San Rocco (XV Secolo).
E poi le necropoli. Mica ce le avevano solo gli etruschi. A Nepi c’è quella dei Tre Ponti situata nei pressi dell’omonimo Fosso, ma c’è anche la catacomba di Santa Savinilla, vicino al cimitero cittadino, con dentro più di mille loculi. Perchè pare che qui si stia bene da vivi…ma anche dopo.
Valerio Di Marco
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Ciao, un bel articolo. Conosci qualche cantina con la vigna in zona? 🙂