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Il logista, l’ombra della Jihād a Ponte Milvio

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Galvanica Bruni

Duecentoquarantasei pagine da leggere tutte d’un fiato, un thriller avvincente con un tema di grande attualità – la Jihād – che ruota intorno a Piazza Ponte Milvio con le sue ombre e contraddizioni.

Ma ci sono anche gli alberi e le sterpaglie che a Tor di Quinto, sulle sponde del Tevere, nascondono covi equivoci mentre il finale, dal ritmo incalzante, si svolge nello Stadio Olimpico durante una partita della Roma…

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Il tutto inframmezzato da puntate a Londra e alle Maldive sulle quali aleggia lo spettro dell’Isis. Lo stesso spettro che nel libro si affaccia su Roma, una delle poche capitali europee a non aver fortunatamente ancora conosciuto gli orrori degli attentati.

Insomma, gli ingredienti ci sono tutti perché “Il logista“, terzo noir di Federica Fantozzi, nella vita giornalista, diventi un best-seller soprattutto fra i lettori di Roma Nord che non impiegheranno più di un secondo a calarsi nel contesto narrativo.

La trama

Amalia Pinter, giornalista, lavora per un quotidiano della Capitale specializzato in cronaca nera. Nel suo quartiere, Ponte Milvio, si imbatte in una vecchia fiamma dei tempi universitari, Tancredi, da cui si lascia accompagnare sulla Camilluccia, in un servizio per il giornale, a casa di una giovane coppia vittima di una strage jihadista durante il viaggio di nozze.

Tancredi si è trasferito da anni a Londra, dove la sua società si occupa di logistica di guerra: gestisce i trasferimenti di facoltosi professionisti in paesi ad alto rischio. Un lavoro borderline che lo mette in contatto con servizi segreti e bande di terroristi Jihādisti.

Il ragazzo, a Roma in vacanza, invita Amalia a cena nel suo appartamento, ma lei lo trova morto accanto a una bottiglia di whisky e cristalli di droga. L’ipotesi degli investigatori è suicidio, una pista che convince anche chi conosceva la vittima: zio Doug, Iris, la bionda fidanzata americana e Adam, l’amico libanese.

Amalia riceve però un biglietto: l’immagine di uno scorpione dai contorni dorati e l’avvertimento di una minaccia incombente. Di quale segreto era in possesso Tancredi? Amalia inizia un’indagine testarda e solitaria, senza sapere che, nel buio della notte di Ponte Milvio, qualcun altro è a caccia di lei.

Pennellate di Ponte Milvio

Flash di vita quotidiana a Ponte Milvio fanno da sfondo alla storia.

La colazione da Mondi, la pizza di Gianfornaio, le bancarelle sotto i platani della piazza, il traffico e i cassonetti stracolmi di via Flaminia, le poche botteghe storiche, come il sementaio, che ancora resistono, gli angoli bui di via Prati della Farnesina dove si attenta alla vita della protagonista,le sirene delle pattuglie del vicino commissariato.

E poco distante, lungo la ciclabile, “la terra di nessuno” con gli oscuri anfratti sul Tevere che ricordano tanto quel luogo sinistro dove da anni, in via del Baiardo, una mega discarica abusiva di sei ettari nasconde traffici e persone poco raccomandabili.

Ne parliamo con l’autrice

Federica Fantozzi, romana, avvocato e giornalista, ha scritto per “il Venerdì”, “L’Espresso”, “La Nazione”, “La Repubblica” e “Italia Oggi”. Attualmente è giornalista a “L’Unità”.

È autrice di due thriller, Caccia a Emy (2000) e Notte sul Negev (2001), entrambi pubblicati da Marsilio; insieme a Roberto Brunelli, ha scritto la biografia di Enrico Letta (Editori Riuniti, 2013)

“Il logista” (edizioni Marsilio) è dunque il suo terzo romanzo, forse quello a cui tiene di più perché a Ponte Milvio Federica ha vissuto per tanti anni.

federica-fantozziQuanto della tua vita trascorsa a Roma Nord c’è nel libro?

Ci sono immagini, sensazioni, frammenti di giornate e ricordi. Ho abitato nella zona di Ponte Milvio fino a 14 anni, poi ci sono tornata da giovane giornalista single. Proprio quando la zona cominciava a vivere soprattutto di notte, con il baretto davanti al ponte, il grattacheccaro e il gelataio in piazza.

Questo quartiere ha un’anima molto forte, che secondo me deriva dalla commistione tra la sua origine popolare e l’ondata di ragazzi che vengono a espugnarla nel tempo libero. E poi c’è il Tevere: sporco, umido, eppure incredibilmente suggestivo.

Dall’altro lato di via di Tor di Quinto si apre la campagna verde, con la sua libertà e i suoi pericoli. Per un romanziere tutto questo è una prateria…

La protagonista è una giornalista testarda e caparbia. Quale parte di Federica c’è in Amelia?

Sicuramente la testardaggine. Lei è più giovane e, mi auguro, più scombinata di me. Entrambe, fuori dal lavoro, siamo solitarie e diffidenti.

Credo di averle attribuito, in parte inconsapevolmente, le mie riflessioni sul giornalismo: lo stato in cui si trova, il modo in cui l’ho vissuto, l’adrenalina che danno le notizie ma anche il livello di competizione e frustrazione che questo mestiere porta con sé.

Tu disegni una città a tinte fosche. A Iris, l’americana, fai dire: “Roma è sporca, disordinata, incivile. Odora di piscio e di passato. Neanche voi romani mi piacete, sciatti e furbastri. Non vi accorgete che state colando a picco insieme alle strade dissestate, alle fogne otturate, agli alberi lasciati seccare...” Un’iperbole, o la tua foto della Capitale?

La verità è che il ritratto di Roma è uscito fuori da sé, senza che me ne accorgessi. Un’amica che vive all’estero, una delle prime ad aver letto le bozze, mi ha fatto notare il pessimismo, e a quel punto ho capito di avere metabolizzato, da cittadina dell’Urbe, un senso di degrado e desolazione inarrestabili.

Nel romanzo non c’è nessuna denuncia politica, non è un pamphlet bensì una storia di invenzione pura, ma Amalia pensa esattamente questo: Roma sta sprofondando e non si vede all’orizzonte un bagliore di salvezza. Chi ne sia responsabile, penso che il lettore possa e debba deciderlo da sé.

Le pagine de “Il logista” sembrano tanti fotogrammi di una pellicola, una storia perfetta per una sceneggiatura di un film… raccontaci com’è nato il libro

Mi piacerebbe moltissimo vedere la mia storia al cinema, ma credo sia piuttosto complicata da realizzare. Per me ogni romanzo parte da una scena, un’immagine intorno a cui costruisco la trama. Qui l’idea iniziale è quella dell’attacco di un commando di terroristi ad un resort in un’isola delle Maldive.

Era una scena che avevo chiara nella mente: i gommoni, i sub con la muta Stealth invisibile nella notte e le pistole nei contenitori stagni, la luna, lo sciabordio delle onde. La normalità che si trasforma in tragedia nello spazio di pochi minuti.

Il fatto divertente è che la trama ha cominciato a venirmi in mente durante una vera vacanza con la famiglia. Tutti guardavano i pesci nell’oceano e io mi aggiravo sul pontile chiedendomi: ma un commando di assassini arriverebbe da est o piuttosto da ovest?

L’elemento fondamentale per la nascita del Logista, però, è stato un altro: la strage di Parigi del 2015, il cosiddetto Venerdì 13 culminato nell’assalto al teatro Bataclan.

L’Unità mi ha inviato a seguire quell’evento e, da cronista politica, non ero preparata all’impatto che avrebbe avuto su di me. Sono atterrata in un Paese lacerato tra paura e orgoglio laico, ho camminato tra persone che scoppiavano a piangere nel sentire dei passi alle loro spalle, ho intervistato i familiari delle vittime.

Purtroppo con il terrorismo dovremo fare i conti ancora a lungo, come dimostra l’ultima terribile strage delle ultime ore a Manchester: l’intelligence europea fa del suo meglio, al di là delle singole eventuali falle, ma la verità è che fermare i “cani sciolti” è praticamente impossibile.

Federica Fantozzi, cronista politica di prima fila dell’Unità che si diletta col noir: un gioco o uno sdoppiamento di personalità?

La seconda, senza dubbio. Prima di scrivere, sono una lettrice appassionata e instancabile di ogni forma di giallo, thriller, noir, hard boiled, polar, spy story. Vado da Agatha Christie a Jo Nesbo, da Stieg Larsson a Simenon, dall’Alice Allevi di Alessia Gazzola a Rocco Schiavone di Manzini, dai serial killer più efferati ai crimini venati di sarcasmo.

E’ ovvio che la mia psiche non può esserne uscita senza danni. Speriamo che, almeno, tutto questo non traspaia negli articoli di politica…

Claudio Cafasso

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