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Caro Lucrezio, eri il liceo dei giovani di Vigna Clara

Continuano i ricordi di Michele Chialvo sul quartiere Vigna Clara a metà del '900. Qui la vita dei giovani studenti di allora...

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E ccome diss’ er merlo ar tordo, sentirai er botto si ‘n’ sei sordo”. Così, con questa sua traduzione non proprio letterale dell’epigrafe (1) di Tito Lucrezio Caro che campeggiava all’ingresso della scuola che portava il suo nome, ci accoglieva Gino, il custode, quando arrivavamo con qualche minuto di ritardo, cioè quasi tutte le mattine. Qualcuno poi appena arrivato al terzo canto, in prima liceo, aveva aggiunto con un pennello e vernice rossa una traduzione in chiave dantesca: “lasciate ogne speranza voi ch’intrate”.

Eravamo arrivati al ginnasio, la premessa allora del Classico. Nella scuola costruita da poco al Villaggio Olimpico. Mi viene naturale usare il plurale, perché di volti del campetto di pallone e dello stagno, al Lucrezio, ne ritrovai tanti. Sembrava quasi che Vigna Clara fosse scesa a valle.

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Mia sorella vi aveva appena superata la maturità. Quando era arrivata lei, era ancora la succursale del Dante trasferitasi lì dai prefabbricati di Via Flaminia dove adesso c’è la Filarmonica Romana.

C’erano appena state le Olimpiadi

Non mi ricordo se fosse già diventata Lucrezio o se lo diventò nel ’60 quando arrivai io. E non mi ricordo nemmeno se qualcuno ci ha mai detto perché mai fosse stata intitolata all’autore del De Rerum.

Mi ricordo però che l’anno prima gli studenti – tutti, anche mia sorella – avevano fatto una clamorosa protesta perché al Lucrezio, dopo una serie di violenti acquazzoni, si arrivava soltanto nuotando nel fango. La strada non c’era ancora. La dovevano aver fatta in quell’estate.

Ad agosto c’erano state le Olimpiadi. Quelle Olimpiadi… Berruti e la Rudolph, i fratelli d’Inzeo, Abebe Bikila a piedi scalzi… Noi la trovammo asfaltata.

Il Lucrezio Caro era la scuola più vicina a Vigna Clara e al neonato Villaggio dei Cronisti sulla Cassia, il De Sanctis ancora non c’era… Motivo per cui la frequentavano diversi rampolli della Stampa Romana. E molti hanno seguito le orme dei padri.

Sono usciti da lì anche nomi noti del giornalismo. Farneti, Sabelli Fioretti, Cacace e diversi Ugolini, grande famiglia di cronisti. C’era anche Massimo Pasquini, voce storica dell’auditorium di Fuortes. E chissà quanti me ne sono dimenticati. Già… c’era anche Giuliano Ferrara. E ovviamente c’era pure il giornale della scuola, Tandem. Ma quello lo facevano i ‘grandi’.

Il raddoppiamento sintattico

E che professori. Al Ginnasio nella mia sezione – la A – c’era Argenziano, lettere. Con lui, severo e implacabilmente all’antica, ho dovuto imparare a controllare i mei eccessi di fantasia.

In uno dei primi temi avevo osato dire che anche un esattore delle tasse se ha la capacità di presentarsi a casa tua con modi gioviali e gentili sarà accolto meglio. Me ne disse di tutti i colori. Oltre poi ad un ‘apparte’ scritto appunto con due ‘p’. Che lui non apprezzò. Indimenticabile. Mi mise 4. Poi papà mi spiegò il raddoppiamento sintattico e mi fece vedere cosa ne diceva il vocabolario della Crusca.

Ma evidentemente il Prof. non era propenso alle varianti linguistiche. Ero uscito dal Convitto Nazionale secondo nella classifica degli esaminati di Terza di tutto l’istituto. Il primo forse mi ricordo ancora come si chiamava, Aulino, mi pare. Non lo conoscevo, ma aveva osato battermi. Avevo la media dell’8, ma lui aveva uno o due nove in più. Credevo di poter fare un po’ quello che mi pareva. Ma il Lucrezio non era il Convitto.

Clara Krauss e Enzo Siciliano

Spostandoci sempre nello stesso corridoio, dove c’erano proprio cinque classi – terzo piano, le finestre sulla facciata – dalla terza cominciò il liceo. Arrivati nell’ultima, in terzo, cambiammo parecchi professori. Per qualche mese come supplente di Storia e Filosofia, abbiamo avuto addirittura un giovane Enzo Siciliano. Era uscito da poco il Vangelo di Pasolini, che tutti ci precipitammo a vedere. Mi pare che lui fosse un apostolo. Quando arrivò la nuova titolare, nella ‘A’ ci fu un gran tramestio di cuori femminili spezzati…

Ma era andata via anche la mitica Krauss, Greco; triestina, ebrea. Padre, madre e fidanzato trucidati dal nazifascismo. Se doveva interrogare apriva un quadernetto nero e cominciava a sfogliarlo. Sapevamo che ogni pagina era un nome, in ordine alfabetico, e man mano che andava avanti, cominciavano a farsi vedere alcune teste, prima tutte abbassate sui banchi. Cattedra al Virgilio, che era quasi sotto casa sua.

Lasciò poi proprio l’insegnamento liceale perché la Sapienza si era inventata per lei una cattedra che non esisteva. Letteratura Giudaico Alessandrina. La prima in Europa. Poi ne sono nate altre. Molti anni dopo ho saputo dalla figlia normalista di un’amica, che si specializzava a Friburgo, che ovunque per quella materia era fondamentale il suo testo.

Il problema del quarto proporzionale

Il problema più grosso fu Matematica. La professoressa che ci portavamo dietro dal ginnasio credevamo fosse la titolare, ma all’inizio dell’anno scoprimmo che il titolare era un docente dell’università di Napoli che stette con noi una settimana e poi sparì.

Ne venne fuori la vicenda forse più emblematica di quegli anni. Quella legata all’arrivo del prof. Monina. Illuminante per rendersi conto della distanza tra il mondo della nostra adolescenza e quello dell’adolescenza dei nostri nipoti e anche, in parte, dei nostri figli.

La ricerca della sostituzione era stata un disastro. Dopo settimane di supplenze improvvisate ci era capitato uno studente universitario che aveva superato il biennio di Ingegneria. Ebbene sì, potevano insegnare matematica al liceo.

Ma questo era ignorante, supponente e anche un po’ ghiozzo. Di fronte all’apodittica affermazione, con tanto di dito che indicava la lavagna, che il quarto proporzionale altro non era che l’ultimo elemento di una proporzione, non ne potemmo più. A giugno c’era la maturità.

Il preside non ci ascoltava e piantammo uno sciopero che fece un bel po’ di rumore. Era l’autunno del 1964. Nemmeno la Zanzara del Parini di Milano aveva ancora cominciato a ronzare. Ve la ricordate? E così alla fine il preside confessò che lui un professore di matematica non era in grado di trovarlo e promise che se noi ne conoscevamo uno che avesse titoli sufficienti, lo avrebbe preso.

Cioè, nelle liste del provveditorato di Roma, nel ’64, non c’erano professori di matematica che potessero fare una supplenza al liceo. Verum Ipsum Factum.

Il coach

Un nostro compagno che giocava molto bene a pallacanestro e frequentava la Stella Azzurra, grande squadra, formatasi al San Gabriele di Viale Parioli, che aveva fornito diversi elementi all’Italia, bronzo inaspettato al palazzetto dello sport, aveva conosciuto un insegnante di matematica che seguiva i ragazzoni della squadra ed era per loro una sorta di coach in tutti i sensi. Quelli buoni. Walter Monina.

Divenne anche il nostro coach. Non solo per la matematica. Tra l’altro prese in mano la squadra di pallacanestro del Lucrezio che se non mi ricordo male un paio di anni dopo finì in ‘Promozione’. A partire dai primi di giugno, per i più bisognosi di aiuto, si inventò delle lezioni collettive serali a casa sua. Maschili. Altrimenti, allora, sarebbe parso sconveniente… Altri tempi. Fu anche un amico per molti di noi. Un amico vero.

Vari anni dopo mi fu caldamente consigliato, considerati i casini alla Sapienza del ‘68/69, di cambiare università. Scelsi Urbino, ottenni il trasferimento e ci ritrovai lo studente che il biennio di ingegneria non si seppe mai come e dove lo avesse superato. Faceva legge, come me, ma con parecchi anni di più sulle spalle. Ho saputo che ha avuto problemi anche lì. E Urbino non era Roma…

Michele Chialvo

(1) Il testo dell’epigrafe: ‘…terrorem animi tenebrasque necessest  non radii solis neque lucida tela diei, discutiant, sed naturae species ratioque’. In buon Italiano parlato: ‘È la conoscenza della natura e delle sue leggi che deve dissipare questo terrore dell’animo e le sue tenebre; non i raggi del sole né i luminosi dardi del giorno’.

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1 commento

  1. Ciao Michele, mi sembra che il famigerato quadernetto della Krauss fosse rosso non nero.Ricordo che lo accostavamo a quello più noto di Mao.Mi ricordo anche che il corso di storia e filosofia ebbe i suoi torment per il vorticoso cambio di docenti.

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