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Stefano Saletti: «il nostro Mediterraneo Ostinato all’Auditorium»

Saletti-e-Banda-Ikona foto di Roberto Moretti
foro di Roberto Morettii
Galvanica Bruni

Mercoledì 9 febbraio, con inizio alle ore 21, l’Auditorium Parco della Musica ospiterà il concerto di Stefano Saletti & Banda Ikona.

Dal palco del Teatro Studio Borgna arriveranno soprattutto le canzoni di «Mediterraneo Ostinato» (leggi qui la nostra recensione), l’album che il cantautore reatino, insieme alla numerosa ensemble che lo accompagna, ha pubblicato lo scorso 20 marzo per l’etichetta Finisterre.

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Questo pregevole disco di world music è dedicato al Mare Nostrum, il crocevia fluido di molteplici destini, il denominatore comune di esistenze diverse eppure collegate fra loro, il luogo della speranza e della disperazione, della resistenza e del combattimento.

Cantato quasi interamente in sabir, l’antica lingua franca dei porti del Mediterraneo, l’album è il frutto di tantissime ispirazioni, profilandosi come un viaggio – assai colto e musicalmente ricchissimo – alla riscoperta delle radici comuni dei popoli che si affacciano sul Mare Nostrum.

«La nostra grande festa popolare a Roma»: a colloquio con Stefano Saletti

Nato a Rieti il 29 giugno 1964, cantautore e polistrumentista, attivo da quasi quattro decadi sulla scena italiana e internazionale, direttore musicale di tre diverse orchestre mediterranee, Saletti si è sempre dedicato allo studio e alla diffusione della musica e della cultura del Mare Nostrum.

Stefano, come nascono le canzoni di «Mediterraneo ostinato»? L’idea del disco mi è venuta due anni fa quando fummo il primo paese del continente colpito dal Covid. Ci fu una spaccatura forte tra Europa del nord ed Europa del sud. I cosiddetti “frugali” ci misero sul banco degli imputati: per loro eravamo incapaci, disorganizzati, abituati solo a essere assistiti.

Questa visione negativa mi ha fatto venire la voglia di rivendicare, invece, la forza e il ruolo dell’Europa mediterranea, della sua cultura, delle sue tradizioni, della sua identità.

Così è nato «Mediterraneo Ostinato», con l’esigenza di raccontare la ricchezza di suoni, di lingue, di letteratura che è linfa per l’intero continente. Questo patrimonio ci appartiene e spesso ce ne dimentichiamo, invasi come siamo da una narrativa secondo la quale il Mediterraneo è solo migrazione, povertà e guerre di religione.

Invece, è lì che nasce l’idea stessa di Europa, è lì che c’è la radice delle nostre parole, della nostra filosofia e del nostro modo di essere. Ecco perché ogni brano prende spunto dalle parole di un poeta del Mediterraneo o che il Mediterraneo l’ha raccontato.

Qual è l’elemento comune di questi brani? L’uso della lingua sabir. Era la lingua dei porti, dei marinai e dei pescatori che hanno vissuto il Mediterraneo per secoli. Univa insieme italiano, francese, spagnolo e arabo, era la lingua del possibile dialogo fra popoli diversi. Per me è diventato il modo di cantare le tante anime del Mediterraneo quasi come un’unica voce.

Ecco perché, per esempio, una melodia sefardita può diventare lo spunto per un nuovo brano (Star la Louna, ndr), che a sua volta prende spunto, nel testo, dalle parole di Alda Merini: «io sono nata zingara, non ho un posto fisso nel mondo, ma forse al chiaro di luna mi fermerò il tuo momento, quanto basti per darti un unico bacio d’amore».

Quanta bellezza, in queste parole, ma anche quanta sofferenza, non avere un posto, essere nomadi, essere migranti. I sefarditi furono cacciati dalla Spagna cattolica nel 1492 insieme agli arabi e la loro musica ha irrorato tutto il Mediterraneo. Da una sofferenza è nata nuova linfa culturale. Questo è il Mediterraneo.

Centrale è il tema del viaggio… Il viaggio è vita! Senza il viaggio non conosceremmo niente, resteremmo fermi all’interno del nostro perimetro rassicurante. Invece, il viaggio apre la mente, fa scomparire la paura e la diffidenza per l’altro e ci dà nuovi stimoli per migliorare noi stessi. Senza i viaggi non esisterebbe la mia musica…

Infatti, Soundcity, il tuo disco precedente con la Banda Ikona… è dedicato proprio a questo! Per scriverlo sono partito dai suoni, dai rumori, dalle voci che ho registrato nei tanti viaggi fatti per suonare in giro per il Mediterraneo.

C’è Istanbul, Tangeri, Lisbona, Sarajevo, c’è la sofferenza di Lampedusa. Attraverso questi suoni ho cercato di catturare l’anima delle città di frontiera del Mediterraneo.

Il disco nuovo, invece, si apre con Anima de moundo e si chiude con Cantar, ispirata dalla frase di Italo Calvino: «arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere»… Viaggiando ci ricordiamo della nostra umanità e della nostra anima comune. Bisognerebbe ricordarsi ogni giorno di essere parte di una comunità che va al di là dell’appartenenza geografica o nazionale.

Sentirsi cittadini del mondo è l’unica maniera per non smarrire l’anima del mondo, la nostra anima mediterranea.

E cosa significa: «avrai capito che vuol dire un’Itaca»? La poesia di Kavafis (che è lo spunto per Ithaki, ndr) è meravigliosa! Ognuno di noi cerca la propria Itaca: può essere un ideale punto di approdo, una ricerca costante di un qualcos’altro, un obiettivo, una meta, uno scopo.

Senza un’Itaca non esisteremmo, non avremmo sfidato le leggi della natura, non ci saremmo avventurati in mare aperto, a 8000 metri d’altezza o nello spazio. L’uomo ha bisogno di andare oltre i propri limiti, anche mentali, non solo fisici.

Se non cercassero una vita migliore, una libertà negata, una possibilità di sopravvivenza, migliaia e migliaia di migranti non sfiderebbero la morte in quei viaggi terribili tra Libia e Italia. Per loro noi siamo Itaca.

«Alì dagli Occhi Azzurri uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame». Questa poesia fu scritta da Pasolini nel 1962 ed è alla base della tua splendida Canterrante Pasolini ha capito con decenni d’anticipo in quale direzione sarebbe andata la nostra società. Ha parlato di “sviluppo senza progresso”, di come ci saremmo trasformati da cittadini a consumatori e, già negli anni sessanta, aveva capito che se non davamo una risposta al tema dello sviluppo dell’Africa, della povertà, della fine del colonialismo e dello sfruttamento occidentale, poi tutto ci sarebbe tornato addosso con violenza.

È quello che è successo! E negli occhi di Alì e dei tanti Alì del mondo c’è il nostro fallimento, l’incapacità di restare umani, l’assuefazione a quel bollettino quasi quotidiano di morti che fa del mare a sud di Lampedusa il più grande cimitero a cielo aperto del mondo.

E per noi, purtroppo, è solo una delle notizie dei telegiornali o, nel peggiore dei casi, uno strumento per farci le campagne elettorali.

Parliamo un po’ della Banda Ikona… Esiste ormai da quindici anni, con cinque dischi all’attivo e tour un po’ dappertutto in Italia e all’estero. La formazione si allarga di continuo e nel concerto del 9 febbraio all’Auditorium ci saranno proprio tutti i musicisti che hanno lavorato al disco. Vogliamo che sia una grande festa popolare!

Usiamo strumenti delle varie tradizioni del Mediterraneo: l’oud arabo, il bouzouki greco, il saz turco, la darbouka del Medio Oriente… e poi, appunto, cantiamo in sabir, questa lingua affascinante che ha un suono dolce e ha dentro di sé l’anima mediterranea.

Save the date

Stefano Saletti & Banda Ikona si esibiranno mercoledì 9 febbraio, con inizio alle ore 21, al Teatro Studio Borgna dell’Auditorium Parco della Musica. I biglietti sono in vendita online e alla biglietteria centrale dell’Auditorium.

Stefano Saletti: voce, oud, bouzuki, chitarra
Barbara Eramo: voce
Gabriele Coen: clarinetto, sax, flauto
Mario Rivera: basso acustico
Giovanni Lo Cascio: drum set, percussioni
Carlo Cossu: violino
Arnaldo Vacca: percussioni

con: Yasemin Sannino (voce), Gabriella Aiello (voce), Nando Citarella (voce, tammorra, marranzano), Pejman Tadayon (ney, daf, kemenche), Riccardo Tesi (organetto), Alessandro D’Alessandro (organetto), Renato Vecchio (duduk, ciaramella) e Giovanna Famulari (violoncello).

Giovanni Berti

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