Una famiglia di quattro persone, residente sulla Cassia, è risultata positiva: i genitori sono stati ricoverati, mentre i figli sono in isolamento a casa e il quartiere li sta supportando per affrontare tutte le difficoltà.
Nelle ultime quattro settimane a Roma Nord, come nel resto della capitale, la curva dei contagi da Covid-19 ha purtroppo registrato un’impennata soprattutto in seguito alla comparsa della variante inglese. Ma è nei momenti di maggiore difficoltà che le persone riescono a tirar fuori il meglio e a compiere importanti azioni di solidarietà, anche tra vicini di casa.
È il caso di quando sta succedendo in questi giorni in via Cassia, dove i componenti di un nucleo familiare sono risultati tutti positivi e si sono dovuti separare.
Tutto ha inizio il 23 febbraio. Sabrina, 59 anni, madre di due ragazzi ed educatrice in un asilo nido di via della Giustiniana, accusa i primi sintomi e si sottopone al tampone molecolare. Il giorno successivo, riceve il responso: è positiva; nel mentre, però, le sue condizioni sono peggiorate e viene ricoverata all’Ospedale Sant’Andrea di via Grottarossa.
Poche ore dopo, inizia a stare male anche il marito, Vito, poco più giovane di lei. Anche lui manifesta sintomi gravi e viene deciso di ricoverarlo, però all’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli, di via Cassia.
A casa rimangono i due figli della coppia, una ragazza di 21 anni e un ragazzo di 16, e il loro cane. I due giovani fortunatamente non hanno sintomi gravi, ma sono positivi e, quindi, non possono uscire. Così, ad aiutarli nel fare la spesa, nell’acquistare le medicine e nel portare a passeggio il cane sono arrivati gli amici e i vicini di casa. Il padre infatti, ha raccontato al Il Messaggero che “Si è innescata una bellissima gara di solidarietà tra parenti, amici e vicini di casa. Alcuni condomini, spontaneamente, hanno fatto la spesa e l’hanno lasciata alla porta di casa”, un gesto degno di nota e di apprezzamento, e che sicuramente rincuora un genitore lontano e preoccupato.
Più complicato per i ragazzi è potersi sottoporre a un ulteriore tampone. Il padre vorrebbe che il loro medico di base si organizzasse per recarsi a casa sua, senza che i figli debbano uscire, mettendo tra l’altro a rischio altri cittadini. Ma, come sottolinea Vito, “Secondo la Asl la mia famiglia, e in questo caso i miei figli rimasti a casa, dovrebbe andare autonomamente al drive-in per il tampone molecolare di controllo. Ma vista la situazione mi auguro che si trovi la soluzione per un test domiciliare”.
Giulia Vincenzi
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