Prima di navigarlo, sarebbe il caso di pulirlo, quel biondo Tevere che affascina chi s’affaccia sulle balaustre alte, ma che poi diventa inavvicinabile al solo pensiero di scendere scalinate scivolose, affollate di foglie, rami, cartacce, mascherine e siringhe.
La proposta d’un fiume in grado di trasportare per sessanta chilometri romani e turisti, studenti e lavoratori è quanto mai affascinante, ma sarebbe come comprarsi la sella senza avere il cavallo.
Passeggiare sulle banchine è un’impresa, impera il malodore e lo slalom fra bottiglie di plastica acciaccate e profilattici è degno d’una sciata sul Terminillo.
Diciamo che il Tevere navigabile fa il paio con la funivia, leggiadra ideuzza accantonata in fretta e furia perché spesso si fa prima ad aprire bocca che a pensare. Roma ha bisogno di scelte semplici ma mirate, rifare l’asfalto per esempio non sarebbe reato.
Ma, si sa, la “politicanza” capitolina vive di apparenza, e poco importa che “Spelacchio” quest’anno costi centoquarantamila euro alle casse comunali. Tanto paghiamo noi.
Massimiliano Morelli
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Sarebbe bello pulire il Tevere e renderlo navigabile, non è male pensare che verrà completato l’anello ferroviario e magari sognare che fra qualche tempo forse, chissà, verrà aperta al traffico ferroviario la stazione di Vigna Clara, terminata da più di quattro anni e mai entrata in servizio per i noti motivi. Sarebbe anche un pensiero gentile ipotizzare che possa essere riaperto l’ospedale San Giacomo chiuso da dodici anni, probabilmente perché qualcuno ha pensato che circa mq. 32.000 nel pieno centro città avrebbero potuto portare ad una graziosa operazioncina immobiliare ( o “valorizzazione dei beni”, secondo un certo linguaggio politico – burocratese) . Nell’attesa che si realizzino certi mirabolanti programmi, non sarebbe il caso che la classe politica si dia da fare per cercare di riportare in Europa una città che per molti aspetti vi fa parte solo per convenzione geografica (sperando che dall’Aldilà Metternich non mi faccia causa per avergli scopiazzato una famosa frase)?
L’ossessione per i grandi progetti unita all’incapacità di gestire l’ordinario (manutenzione dell’esistente, pulizia, decoro ecc.) è quello che caratterizza una metropoli da terzo mondo.