
“Piove e Roma si allaga. Niente di nuovo. E anche il dibattito non è altro che una replica delle puntate precedenti. Il copione è sempre lo stesso: chi governa tende a spiegare il fenomeno delle “bombe d’acqua” come una drammatica novità imposta dai cambiamenti climatici, mentre chi è all’opposizione chiede conto delle diverse attività di manutenzione. E non importa se qualche tempo prima le parti erano invertite.”
“Sarebbe il caso di partire da una profonda verità: la colpa non è mai della pioggia che, con buona pace di tutti, continuerà a cadere, ma della fragilità di Roma”.
Così riflette in una nota Marco Tolli, esponente del PD di Roma, spiegando che “la sfida di attrezzare la città a far fronte anche ai più estremi eventi atmosferici dovrebbe riguardare tutti, perché chiama in causa la capacità dei gruppi dirigenti a condividere una seria politica di attrazione e utilizzo degli investimenti pubblici, con l’obiettivo di realizzare un programma pluriennale di interventi necessari all’ammodernamento della città e all’adeguamento di tutto il sistema di gestione delle emergenze, dall’informazione ai cittadini alle eventuali evacuazioni.”
“Al momento non c’è nulla, ma non solo per una scelta di politica, ma – credo – per una evidente difficoltà nell’affrontare tempi complessi. D’altronde se selezioni i gruppi dirigenti sulla base della capacità che hanno nel denunciare le mancanze altrui, quando sarai tu ad avere responsabilità di governo, non potrai fare altro che improvvisare e difenderti da quelli hanno preso il tuo posto. Ma ripeto: riguarda tutti, nessuno escluso”.
Da dove partire quindi? “Intanto cambiando atteggiamento” sostiene Tolli affermando che “sarebbe una rivoluzione se a Roma, dopo una alluvione o più semplicemente dopo gli allagamenti diffusi di questi giorni, tutti coloro che hanno modo di poter dare una mano alla città, anziché tirarsi il fango addosso, scegliessero di discutere delle cose da fare”. In tal senso Tolli propone 4 ambiti di riflessione che secondo lui, se condivisi, possono rappresentare un metodo di lavoro per la città.
“1) Continuità amministrativa. Dopo alcuni anni di lavoro di Italiasicura il contrasto al dissesto idrogeologico gode d’importanti risorse e di un piano nazionale d’interventi. Continuare su questa strada significa mettere in atto la più importante opera pubblica italiana che deve vedere i comuni fortemente coinvolti e responsabilizzati. Il passato ci lascia in eredità tanti problemi irrisolti, ma spesso anche risorse e progetti. A Roma, ad esempio, i piani di mitigazione del rischio idraulico dei quartieri di Piana del sole, Prima porta e dell’entroterra del X Municipio sono fermi al 2008″.
“2) Il riordino delle competenze. Il sistema delle competenze in materia di difesa del suolo da sempre genera l’insopportabile rimpallo di responsabilità tra tutti i soggetti chiamati a cooperare. Non è un caso se in alcuni momenti è stato necessario un lavoro di coordinamento inter-istituzionale svolto dalla Prefettura di Roma. L’attività di riordino dovrebbe andare verso l’unificazione delle competenze sui corsi d’acqua, la gestione unica di impianti e reti, la definizione di procedure certe nella gestione delle criticità e il riconoscimento formale di una regia operativa nella quale deve essere valorizzata la presenza della Protezione Civile.”
“3) Il ruolo di Acea. Negli ultimi anni si è registrata una importante diminuzione degli investimenti per la città da parte di Acea. L’azienda ha storicamente avuto un ruolo decisivo nell’infrastrutturazione soprattutto della periferia e deve tornare a essere utile ai cittadini, non solo agli azionisti, attraverso un piano straordinario di opere idrauliche e il potenziamento degli impianti esistenti. Il ruolo di Acea deve essere di piena responsabilizzazione, assumendo la gestione di tutti gli impianti di sollevamento delle acque realizzati dalla Regione o dai Ministeri presenti all’interno delle zone urbanizzate”.
“4) Ripensare il governo del territorio. Molte zone della città non saranno mai libere dal rischio idraulico perché sorte in aree di dissesto idrogeologico. In alcuni casi siamo in presenza di edilizia povera, esposta a ripetuti eventi alluvionali e pertanto priva di mercato. E’ venuto il tempo di non autorizzare più alcun programma urbanistico nelle zone a rischio e, al tempo stesso, provare a restituire molte aree oggi impropriamente urbanizzate alla natura attraverso interventi tesi a rimuovere gli edifici maggiormente esposti e ricollocare le residenze in ambiti appropriati”.
“Alla base di tutto però – chiosa Marco Tolli – ci deve essere la capacità e la voglia di saper distinguere la politica dalla comunicazione politica. I problemi si risolvono facendo, non raccontando cosa gli altri non sono stati in grado di fare”.
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La sollevazione di un dirigente o di un alto funzionario è praticamente impossibile, abbiamo visto e assistito invece al massacro delle “classi dirigenti” anche politiche, perpetuato dalla cosiddetta “Macchina del Fango” strumento efficace che ha cambiato una parte delle classi dirigenti ma ha a quanto pare, raccolto risultati peggiori della precedente, dai primi anni novanta abbiamo più di una volta sentito rimpiangere la figura di Giulio Andreotti proprio dagli ambienti che alla sinistra o centro sinistra fanno riferimento.
Ricordo la Candidatura di Gianfranco Fini a Sindaco di Roma e la vittoria per pochi voti di Francesco Rutelli che è un radicale cioè vicino al Partito Liberale Italiano, un ambientalista, un verde, cioè non di sinistra, affermazione politica ottenuta con il sostegno determinate della sinistra che a parte Alemanno governa Roma da oltre un quarantennio.
Esiste come la sensazione che manchi sempre qualcosa in ogni proclama politico che sui problemi compresi gli allagamenti offre in continuazione analisi e vedute “ultraterrene”.
Condivido pienamente la prima parte della Sua analisi ( la seconda in realtà non l’ho ben compresa). Il problema è che nella ” presunta ” II^ Repubblica l’assenza di contenuti e argomentazioni degne di tal nome ( frutto di una mediocre classe dirigente), hanno lasciato il posto alla “politica del fango” tra le diverse forze politiche e tra i singoli esponenti. In altre parole, troppo spesso il confronto politico si è ridotto alla denigrazione, diffamazione e all’insulto nei confronti dell’avversario ( quella che appunto Lei definisce giustamente “Macchina del Fango”). Quello di cui la classe politica (non tutta, per la verità) non si rendeva conto, era che un confronto politico di questo livello avrebbe gettato “fango e discredito” non solo nei confronti dell’avversario, ma della “politica” in quanto tale… L’emergere di movimenti e partiti “anti sistema” è anche conseguenza di tutto ciò.
Ringrazio Ghino per le parole e le espressioni usate e per aver compreso il senso del commento su questi fenomeni come gli allagamenti che possono essere legati ai cambiamenti climatici ma causano tanti disagi e inquietudine nella popolazione e sono tra le principali se non le uniche argomentazioni di cui si occupano le Amministrazioni.