Ottobre 1974. In Italia esplode con violenza la crisi del settore automobilistico, si apre la crisi del quinto governo Rumor e vengono arrestati i brigatisti rossi Prospero Gallinari e Alfredo Buonavita.
Mentre la Procura della Repubblica di Milano emette un mandato di cattura per Michele Sindona, che poi fuggirà negli USA, una bomba dell’IRA provoca cinque morti e decine di feriti in un pub di Guildford, in Inghilterra.
Negli Stati Uniti le sale cinematografiche suggellano il successo de “Il Padrino – Parte II” ed accolgono con diffidenza l’horror indipendente “Non aprite quella porta”, mentre alla hit parade spadroneggiano Billy Preston e Dionne Warwick.
Dopo le dimissioni di Nixon, Gerald Ford è in carica da un paio di mesi come trentottesimo presidente. In Vietnam si continuano a contare i morti di una guerra che terminerà l’aprile successivo.
Kinshasa, Zaire, 30 ottobre 1974. Sono le 4 del mattino e Muhammad Alì si appresta a sfidare George Foreman per riprendersi il titolo mondiale dei pesi massimi.
L’inizio del match è fissato a questo orario antelucano per consentire la diretta televisiva negli USA nell’ora di massimo ascolto, la sera del 29 ottobre.
Primo gong, i pugili escono dai rispettivi angoli. Stop. Fermiamo il racconto e torniamo indietro di qualche settimana.
Non si tratta solo di un incontro di pugilato, è evidente a tutti. Qui e ora si fa la storia sotto gli occhi del mondo. Si fa la storia in modo esagerato, enfatico, iperbolico, convulso, contraddittorio, a tempo di musica.
I pugili sono entrambi neri, ma è Alì che entra nel cuore degli africani, diventandone il simbolo e il testimone. “Alì, boma yé“, gli gridano per le strade di Kinshasa mentre si allena e dove si fa vedere continuamente. “Alì, ammazzalo“. E lui risponde al coro, lo rilancia, lo moltiplica, lo fa diventare un inno e un paradigma.
Foreman si è ferito ad un occhio e l’incontro, inizialmente previsto per settembre, viene rimandato alla fine del mese successivo, quando ormai il campione in carica sarà già stato etichettato come il nero al servizio del sistema dei bianchi.
Alì frigge nell’attesa ma ne approfitta e con il suo carisma sfacciato provoca senza requie, esaspera il valore della sfida mentre, furbo com’è, si mantiene concentrato sull’obiettivo.
È lo stesso uomo che ha detto no al Vietnam (“nessun vietcong mi ha mai chiamato negro“), che si è liberato del nome degli schiavisti e che l’ha pagata cara. È lo stesso uomo che hanno voluto piegare ma che non si è spezzato e che rilancia ancora una volta.
Nel frattempo nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) arrivano le star di Hollywood e il Gotha della musica, si moltiplicano le feste, la confusione e i concerti.
James Brown è il padrino indiscusso delle notti soul di Kinshasa, la capitale di una nazione affamata, vessata e derubata da Mobutu, il dittatore che per dare una lustrata alla sua immagine ha sganciato i milioni che Don King aveva promesso ai pugili senza ancora averli.
Con ancora negli occhi le immagini e i suoni di “Quando eravamo Re”, il bellissimo documentario del 1996 premiato con l’Oscar, Federico Buffa racconterà la notte di Kinshasa, passata alla storia come “the rumble in the jungle“, all’Auditorium Parco della Musica.
L’appuntamento è fissato in Sala Sinopoli per sabato 7 aprile con inizio alle ore 21. Supportato dal pianoforte di Alessandro Nidi e dalle percussioni di Sebastiano Nidi, Buffa, ottimo giornalista e telecronista, farà rivivere agli spettatori quella notte epocale, che poi fu un mattino, quell’evento che nonostante tutte le sue contraddizioni scrisse un capitolo fondamentale nella storia della lotta per il riconoscimento dei diritti civili.
Giovanni Berti
I biglietti sono in vendita su www.ticket.one.it
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