Metti insieme due mostri sacri del jazz contemporaneo, una band degna di cotanta grazia e una location come l’Auditorium, e ne avrai una serata da cuori forti: quella che si annuncia per domenica 5 novembre nella Sala Santa Cecilia del Parco della Musica con inizio alle 21.
Loro sono Armando “Chick” Corea e Steve Gadd, che detti così sembrano dei signori nessuno ma i cultori certamente avranno un sussulto ogni qualvolta li sentono nominare. Saranno loro due ad aprire la rassegna “Roma in Jazz“, un mese di appuntamenti in musica per intenditori, con concerti in vari spazi nella città.
Terminata quindi la Festa del Cinema, che chiuderà i battenti proprio domenica, alla venue del Flaminio si riparte subito a tutto jazz con due autentiche leggende.
Il primo è un pianista che ha suonato e fatto dischi praticamente con tutti quelli che contano: Miles Davis, Herbie Hancock e Keith Jarret, solo per citarne alcuni; il secondo è tra i padri della batteria jazz moderna, uno dei più influenti drummer di tutti i tempi, e pure lui con un curriculum di partecipazioni da far tremare i polsi: Eric Clapton, Paul McCartney, Paul Simon e Steely Dan, anche qui solo per dare l’idea.
Adesso hanno unito le forze e girano il mondo insieme ad altri quattro eccellenti giovani musicisti (Lionel Loueke, chitarra; Carlitos Del Puerto, basso; Luisito Quintero, percussioni; Steve Wilson, sax e flauto) per presentare il loro spettacolo a base di tecnica purissima.
Ma anche di emozioni, perchè il virtuosismo non sarà condizione necessaria e sufficiente per raggiungere le corde più intime dell’animo di chi ascolta, ma di certo aiuta.
Basta guardare i due minuti scarsi del video di presentazione dello show per capire di cosa parliamo. Ed è lì che il palato inizia a formicolare, ancor prima di vedere Corea e Gadd – entrambi oggi da un pezzo oltre la settantina – seduti ai rispettivi strumenti, intenti a improvvisare una jam.
L’affiatamento tra i due è palese. Hanno già lavorato insieme, prima nei Return Forever (Gadd fu il primo batterista elettrico della storica band guidata da Corea) e poi per altri progetti tra cui gli album Friends, Three Quartets, Leprechaun e My Spanish Heart. Del resto fu proprio Corea a dire: “Ogni batterista vorrebbe suonare come Steve Gadd, perché lui suona in modo perfetto“.
La perfezione, ecco. Esercizio di stile, ricerca del bello, proporzioni auliche. Il jazz c’entra con tutto questo ma non va dimenticato che una volta si ballava nelle bettole, era il rock ‘n’ roll della prima metà del Novecento.
Poi una certa critica snob lo elevò a musica colta lasciando che fossero Elvis e i suoi epigoni a farsi interpreti di sogni e aspirazioni dei più giovani. Solo negli anni’70 i due mondi si avvicinarono, confluendo in quella fusion che tanto ci ha regalato in termini di bellezza, lasciandoci in eredità opere sacre che ancora oggi sconvolgono e nomi rimasti scolpiti nella pietra, da Zappa e Weather Report in giù. Poi, di nuovo, le distanze si sono rifatte siderali ed eccoci ancora qui a ragionare per generi.
Corea, statunitense ma di origini calabresi, di questo avvicinamento e successivo distacco è stato la personificazione, avendo suonato fusion per buona parte dei Settanta ma essendosene poi allontanato. Anche se a dire il vero la contaminazione, perfino con l’elettronica, è stata uno dei leit-motiv della sua carriera.
Gadd invece è noto a chiunque si avvicini alle pelli con un minimo di curiosità e apertura come uno dei più grandi batteristi della storia. E’ stato un pioniere dei video didattici. E ancora oggi la sua lezione è fatta propria in ambiti anche lontani dal jazz.
Il rock, per dire, continua ancora ad abbeverarsi alla fonte del suo fratello maggiore. Certo, serve studio e tanta applicazione. E si sa, il “tutto e subito” è il must dei tempi moderni, quindi tanto vale spacciarsi (o farsi spacciare) per grandi musicisti anche senza esserlo. Tanto chi se ne accorge.
Già perchè l’imbarbarimento dei gusti è altro tema su cui potremmo dilungarci, ma basta dire che il jazz ha un duplice e opposto effetto a seconda che la prospettiva sia quella di chi lo fa o di chi lo ascolta: se si impara a suonarlo, poi si può suonare di tutto; se si impara ad ascoltarlo, poi non si vorrà più ascoltare nient’altro.
Per questo, se andrete a vedere Corea e Gadd domenica sera assicuratevi di aver predisposto a casa un discreto numero di sacchi neri dell’immondizia dove gettare buona parte della vostra collezione di dischi pop e rock.
Quelli, almeno, che non userete come sottobicchieri.
Valerio Di Marco
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