
Calcata non è solo Halloween. Il borgo in provincia di Viterbo famoso perchè ogni anno vi si festeggia la tradizionale ricorrenza made in USA, con gente che accorre da ogni luogo indossando maschere e trucchi da demoni e streghe, merita una capatina anche al di fuori della festa gotica per eccellenza.
Perchè è uno dei centri più caratteristici e suggestivi dell’Alto Lazio e dista solo una trentina di chilometri da Roma Nord. Inoltre è facile da raggiungere e ci si può arrivare sia con la Cassia che con la Flaminia dacchè sorge proprio a metà tra le due consolari.
Con la prima bisogna uscire a Settevene direzione Mazzano Romano; con la seconda, Rignano Flaminio direzione Faleria.
Calcata era la “casa” dei falisci, civiltà “cugina” degli etruschi che abitò quest’area fino all’arrivo dei romani, e oggi è uno straordinario esempio di borgo medievale di quel Centro Italia a cui, ad altre latitudini non troppo distanti da qui, la terra non sta dando tregua in questi giorni. Qui il terremoto si è sentito ma non ha fatto danni.
La città si chiama così perlomeno dall’VIII Secolo, visto che è di quel periodo il primo documento sul quale compare con tale nome. Si trattava di una bolla papale di Adriano I, il pontefice famoso per aver ottenuto da Carlo Magno quei territori dell’Italia centrale che sarebbero rimasti sotto il controllo dello Stato Pontificio fino al 1870.
Oggi lo Stato Pontificio non c’è più ma c’è invece Internet, e sulla Rete è possibile ammirare diverse foto dove la città appare avvolta dalla nebbia. Tuttavia anche col cielo terso la visione da lontano della sua silhouette è da strabuzzare gli occhi.
La macchina, però, conviene lasciarla nel vicino parcheggio a pagamento di via della Mandolina, da lì scendere utilizzando la scalinata fino alla Strada provinciale che costeggia il paese e proseguire per un centinaio di metri lungo il percorso pedonale che conduce al centro storico.
Ma mentre si cammina si può già ammirare la città arroccata su uno sperone tufaceo che domina la Valle del fiume Treja. Una posizione che gli conferisce il titolo di Bagnoregio dell’Agro Falisco.
E infatti anche Calcata per un certo periodo si guadagnò l’appellativo di “città che muore”. Fu negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, quando la città aveva iniziato a spopolarsi in seguito ai continui cedimenti del terreno su cui era edificata. Molti abitanti si trasferirono poco distante, in quella che poi sarebbe diventata Calcata Nuova.
Ma negli Anni ’60, dopo una serie di interventi di restauro sulle abitazioni, il vecchio borgo iniziò a ripopolarsi grazie ad artigiani e intellettuali che da tutta Italia venivano qui in cerca di pace e tranquillità lontani dalla ressa delle metropoli industriali.
Perchè Calcata è “fuori dal mondo” ma anche fuori dalla Storia, essendone sempre stata ai margini ed essendo rimasta disabitata per lunghi tratti di tempo nel corso dei secoli. Ma adesso no, la conoscono tutti, e tutti ci vengono.
E furono gli Anguillara, nobile famiglia nella cui orbita Calcata entrò dal XI Secolo, a capire per primi la straordinarietà di questo luogo tanto da costruirci un castello e fortificarla con una possente cinta muraria.
L’accesso al borgo è tramite una classica porta medievale, dopo la quale si percorre un vicoletto lungo due brevi rampe in salita e si arriva ad una pittoresca piazzetta intitolata a Umberto I che sembra uscita da un set cinematografico. Il paese, in pratica, è tutto qui.
Sembra finto, tanto che ci si potrebbe quasi girare un fantasy, “Le cronache di Calcata” o qualcosa del genere. O magari lasciarla ai bambini per giocarci a nascondino, che tanto non è molto più grande del cortile di una scuola.
Ma in fatto di giochi è ad Halloween che ci si sbizzarrisce. Che poi la tradizione di festeggiarlo qui affonda le radici in un passato ricco di leggende e misteri che ammantano di un’aura orrorifica questo minuscolo centro.
Una delle credenze è che da queste parti, in antichità, sorgesse un tempietto falisco nel quale si compivano riti magici e propiziatori. Del resto i falisci, come gli etruschi, erano affascinati dai culti astrali. Inoltre, secondo alcune dicerie, pare che ancora oggi in qualche abitazione di Calcata e in alcune delle numerose grotte sottostanti l’abitato si svolgano riti esoterici ed iniziatici.
Noi abbiamo visitato la “Grotta Sonora”, che però con la magia nera c’entra poco. Si tratta piuttosto di un’installazione temporanea di strumenti in ferro e rame che, appositamente sollecitati da musicisti, ricreano un tappeto sonoro di vibrazioni su cui si erge la voce di un attore che, al buio, interpreta passi di novelle di Edgar Allan Poe. Gotico che più gotico non si può.
Ma torniamo alla piazzetta. Qui vi si affacciano l’antico Palazzo Baronale, con la sua caratteristica torre ghibellina, e la Chiesa del Santissimo Nome di Gesù. E a questa chiesetta all’apparenza insignificante è legato nientemeno che il Santo Prepuzio.
Si narra infatti che nel 1527 qui vicino venne catturato un soldato lanzichenecco che aveva preso parte al sacco di Roma dello stesso anno, riuscendo a depredare il Sancta Sanctorum di San Giovanni in Laterano nel quale era custodito il prepuzio di Gesù, il quale come da tradizione ebraica, era stato circonciso alla nascita.
Il soldato, imprigionato, nascose la reliquia in una nicchia scavata nella sua cella fino al giorno della sua morte, quando la cella venne riaperta e la reliquia fu ritrovata.
Va detto, però, che nel tempo sono esistiti perlomeno una ventina di santi prepuzi custoditi in varie città europee che si ritenevano essere l’originale. Quello di Calcata venne rubato durante una processione nel 1983.
E sempre dalla piazza si diramano una serie di vicoletti angusti che conducono ad alcuni affacci suggestivi da cui, scrutando bene nel verde della valle sottostante, si possono scorgere i resti di antichi insediamenti. Come la torretta militare che fa capolino dalla vegetazione.
Le case sono anch’esse caratteristiche ma in verità non rispondono ad un criterio architettonico e urbanistico univoco essendo state costruite in tempi e stili differenti, secondo i gusti dei singoli abitanti. Alle abitazioni, poi, sono alternate cantine adibite a botteghe e laboratori artigianali. E non mancano ovviamente i ristoranti, perchè – si sa – lo spavento mette fame.
E allora per cena, venti centimetri quadri di lasagna con funghi e salsicce, una bisaccia di fusilli con mascarpone, zucca e radicchio e una “carriolata” di maialino al forno con patate hanno nel nostro stomaco il loro degno approdo.
Adesso capiamo il perchè del lamento del porcellino che udivamo in lontananza la mattina al nostro arrivo. Che avesse intuito la sua sorte?
Valerio Di Marco
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