Le due targhe appese ad una rete di recinzione in Via Panattoni stanno quasi a simbolizzare che l’emergenza pioggia e fango non è affatto terminata; non si tratta di due targhe marmoree ma più semplicemente delle targhe anteriori di due autovetture, perse all’interno di una profonda buca o di una gigantesca pozzanghera. Da un po’ di giorni sono state messe su quella rete nella speranza che i legittimi proprietari se le vadano a riprendere.
In una città che sembra sconvolta da un cataclisma la perdita di una targa automobilistica in fondo è una inezia; non così per i danni ingentissimi provocati dall’ingrossamento dei fossi che oltre ad aver causato l’intasamento del sistema di raccolta delle acque piovane in alcuni casi hanno trascinato acqua e fango sulle strade.
A Roma sono oltre 200 i piccoli fossi che si riversano nel fiume Tevere (71 invece gli scarichi non depurati) e 15, nel comune, i bacini drenati da corsi d’acqua.
Quelli che interessano in modo particolare Roma Nord sono il bacino del Torrente Valchetta e i bacini dei fossi Crescenza e Acquatraversa.
Mentre il Valchetta, originato dalla fusione dei fossi della Mola dei Monti e della Mola di Formello ha una estensione di circa 16 km, quelli della Crescenza e Acqua Traversa sono molto meno estesi (9 e 8 chilometri) anche se interessano più direttamente aree urbanizzate e consolari di grande importanza (Cassia e Flaminia).
La natura del terreno fa si che in questi due bacini siano presenti, negli strati superiori, falde acquifere non del tutto trascurabili. Una ragione di più per mantenerli puliti.
Si tratta di corsi d’acqua con un regime molto modesto ma che in occasione di piogge torrenziali possono trasformarsi in veri e propri fiumi in grado di causare danni enormi.
Primo fra tutti l’erosione delle sponde; la velocità dell’acqua erode alla base la sponda che cede di schianto; si è verificato lungo tutto il percorso dei fossi e la portata dei danni è ben visibile su Via dei Due Ponti dove neppure i lavori di sistemazione dell’alveo hanno impedito alle sponde di cedere.
L’altro rischio grave è l’allagamento di strade e centri abitati provocato non soltanto dalla grande quantità di acqua ma anche dalla presenza di detriti e ostacoli nel letto del fiume; proprio sul Fosso della Rimessola (affluente di destra del Fosso dell’Acqua Traversa) abbiamo documentato come fango e detriti abbiano quasi completamente ostruito la luce di un piccolo ponte destinato a generare il terribile “effetto tappo”.
Che fare allora?
Dal momento che non è più possibile sanare la sconsiderata cementificazione del territorio (causa madre di tutti i danni) occorre quantomeno pulire e bonificare i fossi e farlo in fretta.
E’ sufficiente costeggiarne il corso per rendersi conto della ingente mole di rifiuti e detriti; non soltanto rifiuti urbani (gettati nei fossi o trasportati dalle acque piovane) ma anche tronchi, alberi, canne.
Si tratta di ostacoli che periodicamente andrebbero asportati in maniera tale da scongiurare pericolose ostruzioni; anche la fascia di rispetto (da 25 a 50 metri) andrebbe salvaguardata eliminando reti, baracche, piccole discariche.
Non si tratta neppure di una operazione eccessivamente costosa dal momento che i fossi sono lunghi pochi chilometri e gli interventi potrebbero essere configurati come “lavori socialmente utili” da affidare a cooperative o giovani disoccupati.
Quale che si la forma che si vuole adottare resta il fatto che la pulizia dei fossi non è più procrastinabile; in caso contrario ci ritroveremo sempre più spesso a fronteggiare frane e straripamenti.
Francesco Gargaglia
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