Roma in lacrime, che piange un grande atleta, Pietro Paolo Mennea, l’unico che in cento anni di storia abbia avuto l’onore di una camera ardente allestita nel palazzo del Coni, e un grande poliziotto, Antonio Manganelli. Due romani d’adozione, gente meridionale. Uno di Barletta, l’altro irpino. Dimenticate però l’etichetta di emigranti, era la città eterna che li aveva chiamati, perché come si dice sulle rive del Tevere “anche la regina ha bisogno della vicina”.
Coetanei, o quasi, avevano scavalcato da poco i sessanta. Entrambi laureati, veri laureati. Due brave persone, integralista uno per la filosofia sportiva quanto integerrimo era l’altro nella lotta al crimine. Uccisi dallo stesso male, che in un attimo cancella passato e presente e offre il vuoto sul futuro.
Da una parte e dall’altra un bagno di folla immaginabile. La Basilica di Santa Sabina per il velocista bianco più forte di sempre, e a Barletta per lui è stato disposto il lutto cittadino; quella di Santa Maria degli Angeli per il poliziotto, e pure ad Avellino è stato lutto cittadino. “Arrivederci a festeggiare la tua vittoria al traguardo del cielo”, un cartello e un lungo applauso hanno accolto il feretro del barlettano; applausi misto lacrime hanno accolto Manganelli.
Il resto è omelia e una bara, destinazione cimitero. La vita è questa, prendere o lasciare.
Massimiliano Morelli
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