
Cinquantuno anni fa, proprio in queste ore, commentavamo spauriti quanto accaduto nelle ventiquattro ore precedenti a Monaco di Baviera, dove era in corso di svolgimento l’Olimpiade.
Un commando dell’organizzazione terroristica socialista palestinese “Settembre nero” entrò nel villaggio olimpico, irruppe negli alloggi destinati agli atleti israeliani e uccise subito subito due atleti. Un pesista e un lottatore, che in qualche maniera comunque rallentarono l’operazione assassina. I fedayn, che scavalcarono la rete di recinzione manco fosse di carta, presero in ostaggio altri nove membri della squadra olimpica di Israele.
La notizia fece in maniera repentina il giro del villaggio olimpico, la polizia tedesca blindò il villaggio stesso e il Comitato olimpico internazionale sospese ogni tipo di gara, vagliando anche l’ipotesi di chiudere anticipatamente i Giochi edizione numero venti.
Ma “the show must go on”, lo spettacolo deve continuare a teatro, figurarsi nel contesto di un evento dove regnano i soldi e gli sponsor spingono come forsennati, più di Borzov e Mennea nella finale dei cento metri.
I sequestratori gettarono dal balcone del primo piano il foglio con la richiesta, ovvero la liberazione di 234 detenuti dalle carceri israeliane e dei terroristi tedeschi della Rote Armee Fraktion Andreas Baader e Ulrike Meinhof, detenuti in Germania. Azzardarono una via di fuga con gli ostaggi, arrivarono all’aeroporto, dove al termine di una gara di nervi fra banda armata e forze di polizia si scatenò l’inferno.
E l’azzardo, il tentativo di liberazione degli ostaggi da parte della polizia tedesca portò alla morte di tutti gli atleti sequestrati, di cinque fedayin e di un poliziotto tedesco. Restarono a terra, mentre cominciò il balletto delle responsabilità, dei “potevamo fare”, dei “se”, dei “forse”, dei “ma”. Venti ore d’inferno. Piangono ancora le famiglie delle vittime.
Ma l’Olimpiade ripartì senza colpo ferire, dopo aver rischiato di chiudere i battenti per la prima volta dal 1896. Solo le guerre impedirono l’accensione del tripode. Ma quella della base aerea di Fürstenfeldbruck fu comunque una guerra.
Massimiliano Morelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA