
Tra gli attentati mafiosi che hanno funestato l’Italia nel biennio 1992-1993 ce n’è uno che venne progettato contro i Carabinieri e per provocare un numero di vittime particolarmente alto in uno dei luoghi più affollati di Roma: l’uscita dallo Stadio Olimpico dopo una partita di sere A. Sarebbe stata una delle più efferati stragi della storia della Repubblica Italiana.
Domenica 23 gennaio 1994
All’Olimpico è appena finita Roma-Udinese, in 40mila escono dallo stadio dirigendosi verso Ponte Milvio, verso i capolinea di Piazza Mancini tramite Ponte Duca d’Aosta, verso largo Maresciallo Giardino e il Lungotevere dove hanno lasciato le auto.
Il flusso maggiore è proprio su via dei Gladiatori dove nei pressi dell’Aula Bunker c’è un presidio dei Carabinieri e dove sono parcheggiati i mezzi con gli uomini a bordo a fine servizio. Stanno aspettando che il flusso degli spettatori termini per rientrare in caserma. Accanto a loro passano tifosi, famiglie con bambini. Ma accanto ai militari c’è anche un’auto parcheggiata, una Lancia Thema imbottita di quattrocento chili di tritolo pronta a esplodere facendo una carneficina.
Ma non esplode. l’innesco infatti s’inceppa per un difetto del telecomando. A svelarlo, è il pentito di cosa nostra Gaspare Spatuzza. “Era già tutto pronto per l’attentato ma il telecomando non funzionò. Ci trovavamo sulla collinetta di Monte Mario, Benigno provò a dare l’impulso ma non successe nulla, intanto i Carabinieri si stavano allontanando e a quel punto lasciammo stare”.
Un passo indietro
A fine maggio 1993, in pieno periodo della guerra intrapresa dalla mafia contro lo stato, a Palermo Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Salvatore Grigoli confezionano cinque forme di esplosivo insieme al quale impastano tondini di ferro per aumentarne l’effetto distruttivo.
Pochi mese dopo, Spatuzza compie un primo sopralluogo nei pressi dello Stadio Olimpico. A settembre, l’esplosivo viene nascosto nel doppiofondo di un camion e trasportato a Roma, dove viene trasferita anche una Lancia Thema rubata a Palermo. Dopo aver effettuato un secondo sopralluogo allo Stadio Olimpico seguendo due pullman dei Carabinieri per conoscerne i movimenti, il gruppo dei mafiosi prepara l’innesco e l’esplosivo all’interno della Lancia. L’auto viene poi portata e parcheggiata in viale dei Gladiatori, di fronte al presidio fisso dei Carabinieri, dove Spatuzza e Giuliano avevano tenuto il posto con un’altra auto.
Quel 23 gennaio l’autobomba doveva esplodere al muoversi dei mezzi dei Carabinieri ma per un difetto del telecomando ciò non avvenne. I mafiosi tornarono nell’ombra e dopo alcuni giorni fecero rimuovere la Lancia con un carro attrezzi e, recuperato l’esplosivo, la fecero rottamare.
Le indagini, il processo
Nel 1995, su indicazione di un collaboratore di giustizia, gli inquirenti trovarono l’esplosivo nascosto parte in una villetta a Capena, poco distante da Roma Nord, e parte a Bracciano.
Nel 1998 Cosimo Lo Nigro, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, Pietro Carra, Antonio Scarano, Antonino Mangano e Salvatore Grigoli nella sentenza per le stragi del 1993 furono riconosciuti come esecutori materiali del fallito attentato allo stadio Olimpico, mentre Matteo Messina Denaro,Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Filippo e Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Giuseppe Ferro e Francesco Tagliavia come mandanti di quella avrebbe potuto essere una strage.
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