Il Sant’Andrea sarebbe uno dei due ospedali italiani con il maggior numero di aggressioni a operatori sanitari, oltre 50 all’anno.
“Numeri sottostimati tratti dalle denunce ufficiali, con tanto di referti da 7 a oltre 30 giorni, dei nostri professionisti, che vivono in un clima a dir poco drammatico dove si registra una pericolosa assuefazione a subire nel silenzio assoluto, tra calci, pugni, capelli strappati per non parlare delle intimidazioni verbali e delle minacce”. A sostenerlo è Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, sindacato autonomo della categoria infermieristica fondato nel 1997.
“Numeri drammatici e report da bollettino di guerra: un vero e proprio inferno quotidiano quello che vivono gli infermieri laziali e campani nei due ospedali italiani con il maggior numero di aggressioni fisiche perpetrate ai danni dei nostri operatori sanitari. Stiamo parlando del Cardarelli di Napoli e del Sant’Andrea di Roma che balza troppo spesso agli onori della cronaca, e dove, solo pochi giorni fa, il 10 dicembre, un infermiere è stato colpito violentemente in pieno volto, e per ben due volte, con un plico contenente documenti, aggredito da una paziente stanca dei tempi di attesa, mentre lo scorso 18 ottobre, sempre una donna in attesa di cure stremata da ore trascorse nel pronto soccorso, ha addirittura tentato di strangolare una infermiera dopo averle strappato i capelli. Delirio allo stato puro”.
Secondo Antonio De Palma si tratta di “Un clima da film western o da poliziesco anni ’70, dove il cittadino si faceva giustizia da solo. L’unica differenza è che questa è la triste realtà, e che gli infermieri non sono certo i criminali di turno da punire, ma sono professionisti valenti che fanno di tutto per salvare vite umane, troppo spesso vittime di una carenza di personale, da noi più volte denunciata”.
“Monitoriamo da tempo la situazione dell’ospedale Sant’Andrea, con il suo enorme bacino di utenza – continua De Palma -; qui i numeri ufficiali parlano di circa 50 aggressioni fisiche “ufficiali” all’anno ai danni degli infermieri, con referti che vanno da una settimana a oltre 30 giorni. Pugni in pieno volto, calci, capelli strappati, addirittura oggetti contundenti come sedie o sgabelli in testa o nella schiena. Veri e propri raptus inspiegabili. I numeri, però, siamo certi, sono molto più alti”.
Secondo De Palma, i numeri evidenziano l’inesorabile aggravarsi della situazione. Le aggressioni sul posto di lavoro colpiscono in media in un anno un terzo dei professionisti sanitari, il 33%, ovvero circa 130mila casi, con un “sommerso” non denunciato all’Inail di circa 125mila casi ogni dodici mesi. E sono rilevanti le conseguenze fisiche, psicologiche ed economiche. Un dato che desta ulteriore apprensione è che il 75% delle aggressioni riguarda le infermiere.
“In questo marasma, in questo clima drammatico e surreale, ecco che il Sant’Andrea, assieme al Cardarelli, con cifre decisamente sottostimate legate agli episodi di violenza fisica e verbale, balzano ai primissimi posti in Italia e detengono la triste maglia nera di ospedali dove regna un vero e proprio clima infernale. Ma la cosa più grave è che siamo di fronte ad una inspiegabile assuefazione alla violenza che certamente mina la serenità di uomini, donne, padri e madri di famiglia, prima che valenti infermieri. Insomma i nostri professionisti, in preda alla paura, lasciano troppo spesso che tutto rimanga nel silenzio assoluto”.
“Non possiamo arrenderci, non dobbiamo. E per tanto non solo continueremo a raccontare all’opinione pubblica quanto accade ma continueremo a invitare gli infermieri a non arrendersi, a non avere timore di raccontarci quanto accade, arrivando a denunciare quelle aziende sanitarie che non adottano strumenti organizzativi atti a tutelare la sicurezza dei propri operatori” chiosa De Palma.
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Ok, ovviamente massima solidarietà agli operatori aggrediti. Ma parlare delle responsabilità dello staff medico, oppure del modo in cui sia i medici che gli infermieri a volte si rivolgono ai pazienti quello no, va bene tutto. Personalmente posso testimoniare che lo scorso anno i geni delle norme anti covid hanno disposto che si poteva comunicare con l’accettazione solo attraverso un citofono esterno pluri tempestato di virus, e che mia cognata per essere dimessa dal pronto soccorso ha dovuto aspettare 4 ore solo perché non si trovava un medico per la firma. Fortunatamente qualcuno tratta ancora i pazienti come persone.
Andrea
Ancora una volta dietro il caos del Pronto Soccorso con le sue aggressioni c’è la politica….quella incapace, poco professionale, che non ascolta chi si trova a lavorare in continua emergenza. Basterebbe parlare con medici e infermieri: un PS assalito da 80-100 pazienti cosa può fare?
Si va in PS come si andrebbe al bar, guardia medica e medici di base girano i pazienti sui PS, nessuno PAGA, tutti hanno fretta; le ambulanze del 118 costrette ad intervenire per un mal di testa o una crisi di panico; la sicurezza affidata a persone fisicamente non idonee e incapaci di contrastare una aggressione …..Per forza che gli animi si surriscaldano! Potenzialmente abbiamo la migliore Sanità del mondo ma per ragioni elettorali non si interviene come si deve , ovvero dal basso: ticket per 118 e PS, costringere medici di base e guardia medica a fare il loro lavoro, arresto per chi aggredisce personale medico, pagamento delle spese di esercizio per chi chiama un ambulanza in assenza di una vera emergenza. Politici parlate con medici e infermieri per conoscere la realtà!