Il Mausoleo di Marco Nonio Macrino, ribattezzato (anche se erroneamente) la Tomba del Gladiatore, pulsa di storia e di glorie da raccontare, eppure in pochi l’hanno visto e nessuno lo può visitare.
Si trova sulla Flaminia, meno di tre chilometri dalla fine di Corso Francia, esattamente in via Vitorchiano dove venne alla luce nel 2008, dopo che per secoli l’argilla del Tevere lo aveva inglobato conservandolo alla perfezione.
«Se c’è un posto a Roma che vale la pena valorizzare è proprio questo», spiega Daniela Rossi, ex direttrice degli scavi Mausoleo di Marco Nonio Macrino, nonché archeologa, scrittrice e premio baiocco 2011.
Ormai in pensione, dalla sua casa di Anguillara ci ha raccontato la grandezza di quelle scoperta, le sue battaglie e delusioni per la mancata valorizzazione e apertura al pubblico e l’idea di un treno archeologico lungo l’antica Flaminia.
L’emozione più grande
Il ritrovamento dei resti del Mausoleo è stato definito da molti il più rilevante degli ultimi 30-40 anni.
«Tutte le scoperte sono importanti a modo loro, perché aggiungono qualcosa alla storia. Che su quel tratto ci fosse qualcosa era ipotizzabile, ma non immaginavamo che potesse essere a quella profondità. Ci siamo spinti oltre i sei metri e abbiamo trovato la Flaminia antica conservata in modo perfetto e le necropoli che si sviluppavano a destra e a sinistra della strada», inizia a raccontarci la dott.ssa Rossi e la sua voce trasmette la passione che ancora la lega a quel luogo.
«Ho lavorato tanti anni come archeologa della Soprintendenza, ma questo ritrovamento è stata l’emozione più grande, ricordo ancora la telefonata e la mia corsa per andare a vedere il primo capitello emerso dallo scavo e ritrovato integro».
Era il 2008 e mentre in corso c’erano i lavori per la costruzione di una palazzina dalla terra emerse un intero tempio romano, completo di colonne in marmo e frontoni, uno stupendo tratto dell’antica via Flaminia e una vera e propria necropoli militare con un numeroso gruppo di stele di pretoriani. L’argilla del fiume aveva permesso la sua perfetta conservazione.
«Un’altra particolarità è che probabilmente venne abbandonato solo in epoca tardoantica in seguito a una piena, infatti sono stati trovati gli scalpellini e i ferri di cavallo che portavano i carretti con i marmi da riutilizzare alla calcara, così tutto è stato lasciato come era».
Marco Nonio Macrino e Russell Crowe
Marco Nonio Macrino è stato un grande generale di origini bresciane e molto facoltoso, che condusse campagne militari sotto Antonino Pio e Marco Aurelio nel II secolo d.C..
Inizialmente si pensò che Ridley Scott si fosse ispirato a lui per scrivere il personaggio di Massimo Decimo Meridio, interpretato da Russell Crowe nel Il Gladiatore, ma come spiega la dott.ssa Rossi, «in comune hanno il periodo storico, le guerre combattute, l’amicizia con l’imperatore, ma di fatto sono due personaggi diversi, di rango e storia differente. A ogni modo, questa prima interpretazione attirò molto l’attenzione dei media e del pubblico, con un eco internazionale».
Nel 2013, in seguito alla minaccia della Soprintendenza di reinterrare tutto per mancanza di fondi, un gruppo di studiosi e ricercatori internazionali lanciò una petizione on line per salvare “The Gladiator’s tomb” e lo stesso Crowe invitò l’amministrazione capitolina a ricordarsi dell’importanza delle scoperte archeologiche che legano il presente al nostro passato.
Quella battaglia fu vinta e il Mausoleo non venne reinterrato, ma rimase chiuso al pubblico, come lo è ancora oggi, mentre una testimonianza così preziosa, una stupenda impronta del passato lasciata qui, a Roma Nord, andrebbe invece aperta alle scuole, al turismo, ai romani, andrebbe illuminata notte e giorno, andrebbe fatta studiare marmo dopo marmo.
Le battaglie per la valorizzazione
Questo luogo straordinario, gioiello del XV Municipio, «È un luogo condensato di fasi storiche, di vita e sarebbe fantastico poterlo valorizzare, anche per creare dei circuiti alternativi al centro storico di cui tanto si discute».
«Io ci ho provato tantissimo. – continua la dott.ssa Rossi, ex direttrice degli scavi – Ho presentato progetti con diverse associazioni e creato collegamenti con le istituzioni. L’ostacolo maggiore è che si tratta di un’area privata e nessuno si è ancora mosso per espropriarla o acquisirla».
Ma non è tutto, perché al problema della mancata fruizione si aggiunge quello del deterioramento. «Il sito è all’aperto e si sta pian piano deteriorando, infatti è necessaria una manutenzione continua. Le Amministrazioni devono decidere che ne vale la pena, di soluzioni ce ne sono tante, anche attraverso i privati».
«C’è ancora molto da scoprire – sottolinea con enfasi Daniela Rossi – per esempio è probabile che non lontano dal mausoleo ci sia una delle ville di Marco Nonio Macrino. Inoltre, è un luogo interessante per lo studio e per il lavoro, sono venuti gli studenti dei licei artistici e delle scuole d’arte per poter ritrarre i marmi e abbiamo coinvolto le scuole di restauro per alcune attività scolastiche».
Il treno archeologico
Tra le proposte presentate dalla dott.ssa Rossi e il suo staff vi era il «treno archeologico. Un itinerario di 6-7 tappe lungo la Flaminia antica con visita guidata, con partenza da piazzale Flaminio e arrivo a Malborghetto. C’è così tanta storia da raccontare! Avevamo persino parlato con Atac che aveva accolto il nostro progetto, ipotizzando di rigenerare un vecchio treno da dedicare a questa tratta e fargli fare 2/3 corse al giorno».
In pensione da un anno, nelle sue parole ci sono diverse note di rammarico. «Avrei voluto chiudere in modo più concreto, ma non è stato possibile e mi è dispiaciuto tantissimo. Tutto lo staff si è legato al lavoro, al luogo e al personaggio, lo abbiamo portato in giro per il mondo per poter riscuotere interesse. Spero di aver passato il testimone a una persona che possa portare avanti il lavoro con uguale passione. Chissà che il prossimo Sindaco e il prossimo Presidente del XV Municipio non si interessino maggiormente a questo luogo, basta deciderlo perché c’è già tutto».
La storia che si intreccia con la favola
Daniela Rossi oggi vive ad Anguillara e dedica il suo tempo a scrivere romanzi che intrecciano la fantasia con l’archeologia. Sa Bruxia (ed. Porto Seguro) è il suo primo romanzo, pubblicato quest’anno.
«L’archeologia è un vizio che non mi toglierò mai, ma è stato divertente poter scrivere a ruota libera. Mi sono sempre misurata con scritti scientifici e avevo il desiderio di scrivere una storia diversa, fantastica, che toccasse l’archeologia di straforo».
Come si evince dal titolo, il libro è ambientato in Sardegna e racconta la storia di Sara, una madre con un matrimonio in crisi, che attraverso il ritrovamento di una statuetta in terracotta dà sfogo alla fantasia e intraprende un nuovo percorso fatto di ricerca, tradizione e rinascita personale. Il filo conduttore è la figura femminile, la sua centralità, da quella moderna e quella rappresentata nelle statuette che rimandano a un vissuto preistorico.
«La Sardegna mi affascina perché è una terra ancora poco conosciuta, anche dal punto di vista storico e archeologico c’è ancora una forte dialettica a riguardo, e la tradizione come le antiche credenze hanno un valore ancora molto importante e si mischiano con la modernità. La Sa Bruxia c’è ancora in alcuni paesi, è la strega, la santona che toglie il malocchio e fa riti propiziatori».
Il secondo volume è già in cantiere e qualcosa del suo passato ritorna, ci confida. «Ho già iniziato a lavorarci. Sara continuerà la sua avventura archeologica, scoprendo di avere un sacco di possibilità per intraprendere nuove strade e una di queste s’intreccerà con quella di Marco Nonio Macrino”.
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