Un ginecologo, il suo primario e due anestesisti dell’Ospedale San Pietro nel 2016 furono rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo per un errore che fu fatale a una partoriente caduta in coma irreversibile il 31 luglio del 2012 al termine del parto cesareo.
Secondo l’accusa il medico non aveva rimosso tempestivamente una placenta previa, mai riscontrata nel corso della gravidanza, attendendo circa 45 minuti prima di decidersi ad asportarla.
Dalle perizie e soprattutto stando ai rigidi protocolli medici, il PM era giunto alla considerazione che se avesse eseguito senza indugio la rimozione della placenta la donna non avrebbe subito la grave emorragia che la portò in pochi minuti, dopo aver comunque dato alla luce una bimba, al coma irreversibile nel quale rimase per i quindici mesi successivi, fino al 16 ottobre 2013, quando poi morì.
Al termine del processo di primo grado, i giudici hanno accertato che la responsabilità del fatto va addotta al solo ginecologo condannandolo la scorsa settimana a quattro mesi per omicidio colposo e sollevando invece da ogni colpa il primario e i due anestesisti.
Secondo il Tribunale, è stato proprio l’intervento di questi ultimi tre a porre termine al lungo indugio del ginecologo nel rimuovere la placenta consentendo così la nascita della bimba. Ma ormai il danno era stato fatto: a seguito dell’emorragia, la donna cadeva in coma irreversibile durato quindici mesi, fino al giorno del suo decesso avvenuto nell’ottobre del 2013.
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