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67 anni fa usciva “Ladri di biciclette”, in parte fu girato a Roma Nord

ladri di biciclette
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Il 24 novembre 1948 usciva nelle sale italiane “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica, film capofila del neorealismo tra i più conosciuti del cinema italiano nel mondo. Fu girato in parte a Roma nord ed è stata la pellicola che forse più di tutte – e sicuramente prima di tutte – ha reso la settima arte nostrana un prodotto da esportazione.

Se ne accorsero anche gli americani, che alla cerimonia dei Premi Oscar del 1950 gli tributarono il riconoscimento come miglior film straniero. Riconoscimento però solo onorario dato che quella per il film straniero diventerà categoria ufficiale solo dal 1957.

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Per il regista ciociaro si trattava della seconda di quattro statuette, dopo quella per “Sciuscià” e prima di “Ieri oggi e domani” e “Matrimonio all’italiana”, che arriveranno solo negli anni ’60.

“Ladri di biciclette” è un film di rara bellezza e intensità, e a rivederlo oggi il tempo sembra non essere passato. Almeno per quel che riguarda le emozioni che trasmette. Le immagini invece, quelle sì, mostrano tutto il loro tempo. Un tempo remoto fatto di poesia e umanità, sentimenti e sincerità.

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De Sica ci racconta una Roma che non c’è più, quella in cui si facevano mestieri oggi scomparsi dai dizionari. Come l’attacchino, colui deputato ad attaccare i manifesti per strada. Pagato dal Comune ovviamente.
Perchè nel dopoguerra i posti erano quasi tutti pubblici e per trovare impiego si andava ancora all’ufficio di collocamento. L’attacchino era un lavoro col quale ci si poteva mantenere una famiglia, ma per farlo bisognava avere la bicicletta e se te la rubavano erano guai.

Al protagonista del film accade proprio questo, ciononostante non si perde d’animo e le tenta tutte per riuscire a recuperare il prezioso mezzo che gli permetterebbe di non essere licenziato, tra l’altro dopo un solo giorno di lavoro.

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Insomma trattasi di un dramma, come nella miglior tradizione neorealista e in barba a chi ancora oggi sostiene che al cinema sappiamo solo far ridere. In quegli anni il neorealismo non si era ancora evoluto in commedia, cosa che iniziò ad avvenire – facendo storcere il naso ai puristi della prima ora – negli anni ‘50 con “Poveri ma belli” e “Pane amore e fantasia” (con protagonista proprio De Sica).

Ma torniamo al 1948. Va da sé che anche la Roma Nord di allora non è la più stessa, non fosse altro che per il volume di traffico imparagonabile tra le due epoche. Così nel film succede di vedere Ponte Duca d’Aosta e Lungotevere Maresciallo Diaz deserti.

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E poi la differenza la fanno i dettagli. Come il fatto che il protagonista, un padre di famiglia magistralmente interpretato da un bravissimo Lamberto Maggiorani, mentre di domenica mattina vaga disperato insieme al figlio alla ricerca della bicicletta perduta, incrocia un pullman di tifosi del Modena che stanno andando allo stadio Flaminio a vedere la partita contro la Roma.

Perchè i giallorossi allora giocavano al Flaminio – anzi Stadio Nazionale – e non all’Olimpico.

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E poi lo stesso protagonista, ormai senza più speranze di ritrovare la bicicletta, che porta il figlio in trattoria e decide di spendere i pochi soldi rimasti – i risparmi di una vita – ordinando mozzarella in carrozza e vino della casa. Un lusso per loro come per molti a quel tempo.

E infatti alla fine l’unica soluzione per il nostro poveraccio è rubare a sua volta una bicicletta lasciata incustodita in via Pietro da Cortona, al Flaminio.

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Ma lui non è un ladro di professione e rischia quasi di essere linciato dalla folla che nel frattempo defluisce dallo stadio. Si salva solo per caso e il film finisce così, lasciando nello spettatore un senso di tristezza che però a noi del Belpaese frutterà l’attenzione del mondo intero.

Perché quella era solo l’alba del cinema italiano, l’alba di un giorno quanto mai luminoso.

Valerio Di Marco

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