Il Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, in largo di Villa Peretti/piazza dei Cinquecento, custodisce al proprio interno un pezzettino di Roma Nord: la “mummia di Grottarossa”, l’unica mummia romana arrivata a noi, così chiamata perchè portata alla luce il 5 febbraio 1964 nel corso di alcuni scavi effettuati al km 11 di via Cassia, all’angolo con via di Grottarossa.
La mummia, risalente al II Secolo d.C., è di una bambina morta all’età di otto anni. Il ritrovamento avvenne all’interno di un sarcofago in marmo bianco sepolto a cinque di metri di profondità. Nel sarcofago fu rinvenuto, oltre al corpo della piccola, anche il suo corredo funerario: una bambola in avorio con braccia e gambe articolate di chiara provenienza orientale.
Sia il sarcofago che la bambola sono esposti nella stessa sala al piano interrato di Palazzo Massimo dov’è custodita la teca con ciò che resta della bimba.
Chi pensava che le mummie fosse solo egizie dovrà quindi ricredersi, poichè anche i romani, specie quelli di censo elevato, erano usi a pratiche del genere quando morivano i loro cari. Quasi certamente la bambina fu imbalsamata a Roma, e le sue origini erano con ogni probabilità italiche, almeno nella linea materna.
Sulla mummia di Grottarossa sono stati effettuati molti esami a partire dall’anno del suo ritrovamento, e alcune analisi fatte nel 1990 hanno evidenziato che la bambina soffriva di osteoporosi, malnutrizione e una pleurite dovuta alla tubercolosi che, con ogni probabilità, ne fu anche causa della morte.
A vederla così, in effetti, non sembra il ritratto della salute, benchè si ritiene che la fanciulla appartenesse ad una famiglia molto ricca, in particolare perchè al momento della scoperta indossava un paio di orecchini di filo d’oro ed una collana di zaffiri dello Sri Lanka. Il che era indice, oltre che dell’elevata posizione economica, anche dei traffici dell’epoca in fatto di preziosi.
Altre ricerche hanno rivelato che nel processo di imbalsamazione furono utilizzate sostanze come mirra, ruta, cistus e chenopodiaceae, e la tecnica stessa non prevedeva l’asportazione preventiva degli organi interni, tanto è vero che il cervello e le viscere della piccola sono ancora visibili grazie alla tomografia computerizzata.
Insomma, le mummie sono un po’ come dei libri danneggiati, vanno lette e interpretate. E così, dopo aver imparato a decifrare i codici antichi, forse adesso impareremo a leggere anche le bende di lino.
Valerio Di Marco
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Via Flaminia 872 – 00191 Roma