Di primavera c’era poco nell’aria di Roma sabato 30 aprile, ma il sole della capitale in questa giornata bagnata è stato l’Ambasciatore col suo staff e la comunità pakistana che hanno organizzato il Basant Festival nei giardini dell’Ambasciata del Pakistan in via della Camilluccia 682. La festa di Basant celebra l’arrivo della primavera e anche quest’anno è stata accolta dall’Ambasciata come un’occasione di condivisione culturale.
E condivisione è la parola d’ordine della giornata anche perché per la prima volta quest’anno sono stati accolti, accanto agli stand di artisti e artigiani pakistani, anche banchi di produttori italiani.
Già nelle strade di Vigna Clara, il silenzioso quartiere che ospita l’Ambasciata, si sente aria di festa; donne e uomini vestiti con gli abiti tradizionali del Pakistan si muovono alla volta dei due ingressi, la musica cattura subito le nostre orecchie e l’olfatto ci guida in direzione di profumi di spezie e carne alla brace che troviamo davanti ai nostri occhi superata la siepe dell’ingresso di via Zandonai 84.
Un tripudio di colori ci accoglie invece se abbiamo scelto di entrare da via della Camilluccia.
L’Ambasciatore Tasnim Aslam ci ospita vestita con un salwar kameez giallo e ci spiega che durante la festa della primavera è importante vestirsi con i colori che richiamano i fiori che in questo periodo dell’anno tingono il Pakistan, il giallo e il verde i predominanti.
[GALLERY=1451]
A VignaClaraBlog.it l’Ambasciatore racconta anche che durante la festa di Basant in Pakistan si fanno volare in cielo gli aquiloni gareggiando con essi. È una tradizione molto viva e sarebbe stata una delle iniziative in programma nella giornata se la pioggia non l’avesse impedita.
Nonostante tutto un aquilone bianco nel cielo romano si è visto e tre bambini sono rimasti ad ammirare il ragazzo che lo faceva volare rincorrendo l’aquilone per tutta la terrazza dell’Ambasciata.
[GALLERY=1452]
Nell’angolo più verde del giardino sono allestiti gli stand degli artigiani pakistani e italiani. Drappi, abiti tradizionali, stole o scialli di pashmina originali del Pakistan sono esposti accanto a vasi intarsiati di pietre e ceramiche le cui materie prime vengono da terre orientali; artigiani dell’oreficeria espongono le loro produzioni, anche le pietre che arricchiscono questi gioielli vengono dall’Afghanistan, dal Pakistan o dall’India.
Tra loro spicca l’artista Rubbina Kausar che espone le sue creazioni orafe e i suoi dipinti. Rubbina, attratta dalla cultura italiana, nel 1998 si trasferisce a Firenze e da allora viaggia in Italia per presentare le sue opere e portare la testimonianza delle infinite possibilità di arricchimento culturale che possono creare la varietà e la diversità, un messaggio che calza perfettamente con lo spirito dell’iniziativa di questa giornata.
[GALLERY=1453]
Poco distante molte donne si accalcano intorno ad una tenda. Lì sotto, riparate della pioggia, due donne dipingono le mani con leggeri tratti di henné.
In origine le donne di ceti sociali più bassi, non avendo la possibilità di adornare le mani o i piedi con costosi gioielli, li disegnavano direttamente con l’henné sulle parti del corpo più scoperte curando così la propria immagine con una pratica poco dispendiosa, anzi affatto dispendiosa visto che producevano in casa la crema mescolando la polvere delle foglie d’henné con dell’acqua.
Ma i profumi del cardamomo, del coriandolo e della cannella richiamano l’appetito e gran parte dei presenti affollano gli stand gastronomici.
È possibile gustare ogni tipo di piatto pakistano, dagli spiedini arrostiti, ai vari yogurt usati per stemperare i sapori piccanti delle salse.
Immancabili i samosa, fagottini ripieni e fritti, o il riso basmati cotto con lo zafferano o con pollo e mandorle, e attenzione a non far mai mancare il pane naan.
[GALLERY=1454]
Dopo il pranzo la musica prende espressione corporea nelle danze tradizionali che si inscenano al centro dei giardini. I ragazzi si dispongono in semicerchio e tra passi di danza e battiti di mani girano in tondo nello slargo che si è creato tra gli spettatori.
Si guardando, sorridono, poi di nuovo danzano lasciandosi trasportare da passi che sembrano conoscere da sempre; festeggiano la loro gioia di essere lì in quel momento ballando tra amici e per gli amici. Il loro entusiasmo e la loro limpidezza contagiano il pubblico che batte le mani a ritmo di musica.
Dopo questa festante esibizione si fa il silenzio, un giovane uomo vestito di rosso sta per iniziare la sua danza. È Ayub Muhammad che si esibisce in una danza Sufi Dhamal.
Si muove turbinando su se stesso, agita la testa facendo roteare i lunghi capelli neri mentre a terra i suoi piedi sbattono velocemente seguendo il ritmo della musica. In poco tempo la melodia sarà un’eco lontana, l’aria si riempie del solo suono dei suoi ghungroo, le cavigliere con i sonagli che ha legato alle sue gambe.
La forte vibrazione che emana il suo corpo catalizza l’attenzione, ha gli occhi chiusi, la danza Dhamal è il tramite che lo porta verso l’amore di Dio. Immerso nella sua preghiera il danzatore non percepisce la nostra presenza, non sente che sta ballando scalzo sull’asfalto, non sente il peso dei ghungroo da otto chili l’uno, sta sprigionando il suo amore, è guidato dal sentimento che dà e riceve da Dio.
[GALLERY=1455]
Tutto questo cattura lo spettatore che alla fine dell’esibizione resta per qualche secondo sospeso in quest’alone di sacralità tanto che lo scrosciante applauso esita a partire.
Tra i colori, i sapori, le pietre e le danze del Pakistan dispiace quasi che dopo l’esibizione di altre due ballerine i presenti inizino a salutare e ad allontanarsi.
La manifestazione si avvia alla sua conclusione e una volta fuori dai giardini dell’Ambasciata pakistana ci ritroviamo soli sotto la pioggia di Roma e rimpiangiamo quest’angolo d’oriente che per qualche ora ci ha regalato allegria e, soprattutto, aria di primavera.
Francesca D’Angelo
© riproduzione riservata – proprietà EdiWebRoma
© RIPRODUZIONE RISERVATA