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Incendio La Storta – spente le fiamme ma non le energie di Don Bellè

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Storia di Don Bellè, a 100 anni è ancora  l’angelo dei poveri. Quando la sola forza umana non può niente di fronte agli ostacoli che si frappongono nel percorso della vita non resta, per chi crede, che appellarsi alla provvidenza divina. A volte funziona, altre volte no. E nel tardo pomeriggio di mercoledì 15 dicembre decisamente la provvidenza doveva essersi distratta mentre un incendio di vaste proporzioni divorava l’interno della piccola struttura che ospita il centro di Don Ernesto Bellè. E’ accaduto sulla Cassia, in via del Cenacolo, località La Storta.

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E pensare (come sono crudeli a volte le coincidenze della vita!) che proprio Don Bellè e il suo centro sono stati recentemente protagonisti di una vicenda che ha provocato un vero e proprio uragano di proteste, indignazioni, iniziative. Eppure, come non sempre avviene, tutto si era risolto pacificamente, nel migliore dei modi, e piano piano tutta la scia di polemiche che aveva accompagnato l’estate di Don Bellè e del suo centro si era assopita, rientrata silenziosamente nei ranghi delle diatribe risolte con l’impegno di tutti.

Talmente era stata dura quella polemica che a recarsi oggi negli uffici della Curia di Porto e Santa Rufina al solo nome Don Bellè, che in ogni caso resta una figura amata e rispettata da tutti, gli animi sembrano riscaldarsi al ricordo di quanto avvenuto.
Ma cominciamo dall’inizio.

Chi è Don Bellè?
Sacerdote triestino, cento anni compiuti da due mesi, fin dalla giovinezza dimostra quel carattere combattivo e poco incline ai compromessi che caratterizzerà tutta la sua esistenza.
Un episodio tra i tanti: Capodistria, 1947, zona sottoposta al controllo delle truppe jugoslave. Il rettore del seminario, Don Labor, viene accusato, sembra per puro pretesto, di utilizzare all’interno del seminario prevalentemente la lingua italiana a scapito di quella croata (in un territorio ancora oggi in parte bilingue).
Un’accusa non certo di poco conto, anzi piuttosto grave. Don Bellè, all’epoca insegnante di croato nello stesso seminario, interviene a favore del rettore esponendo la propria persona al rischio di concrete ripercussioni personali. Alla fine, il rettore venne prosciolto da ogni accusa.

Nel 1995 la nascita del FAC.
Passano gli anni e nel 1955 Don Bellè, trasferitosi a Roma, da vita alla fondazione Fac, Fraterno Aiuto Cristiano, con l’intenzione di organizzare attività di aiuto e assistenza per poveri ed emarginati. L’attività della fondazione varia dall’ospitalità nel piccolo edificio di Via del Cenacolo (sulla Via Cassia, a pochi passi dalla Cattedrale della Storta e della sede della Curia vescovile di Porto Santa Rufina) fino alla distribuzione di derrate alimentari e di vestiti, dall’assistenza per chi cerca lavoro all’organizzazione di corsi di italiano per stranieri (a chiedere aiuto a Don Bellè sono sopratutto immigrati).

Tale è l’impegno del sacerdote che in poco tempo la sua figura diviene familiare nel quartiere de La Storta e le sue iniziative seguite con entusiasmo sempre cerscente, in certi casi anche dalla stampa e dai telegiornali.
Don Ernesto Bellè diventa in poco tempo “l’angelo dei poveri”, figura tanto carismatica che basta solo la sua presenza a garantire il successo di questo o quell’evento benefico.

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L’intimazione: il FAC deve chiudere.
Poi, di colpo, l’estate scorsa, un fulmine (è il caso di dirlo) a ciel sereno si abbatte sul piccolo centro: in giugno il vescovo Gino Reali convoca Don Bellè per comunicargli che ha un mese di tempo per lasciare il centro e trasferirsi a Santa Marinella. Urgono infatti i lavori di restauro dell’edificio e non si può più aspettare.
Per Don Bellè l’eventualità di lasciare la sua comunità, la sua gente, ciò a cui ha donato la sua intera vita di sacerdote è un colpo durissimo e inaccettabile. Subito accorrono in suo aiuto i membri della Comunità e del quartiere che con lui hanno contribuito per anni a fare del Fac un punto di riferimento per i più poveri.

L’associazione di volontariato “Il Melograno” che da anni collabora con Don Bellè si mette in moto: il 26 giugno viene indetta un’assemblea in cui si decidono le iniziative da prendere. La stampa viene informata della situazione e dedica pagine e pagine all’argomento, viene anche aperta una pagina su facebook, “difendiamo Don Bellè”, che raccoglie immediatamente moltissime adesioni. Tutti quelli che in un modo o nell’altro sono stati coinvolti nell’attività di assistenza di Don Bellè si mobilitano in suo favore.

Il 26 agosto, il vescovo interviene nuovamente e comunica a Don Bellè che dovrà trasferirsi solo momentaneamente, in attesa del completamento dei lavori. Infine, dopo un colloquio dei sostenitori di Don Bellè con gli operai chiamati per il restauro, dove è emerso che i lavori riguardavano solo la struttura esterna dell’edificio, è stato concesso al sacerdote di restare per tutta la durata dell’intervento.

Tirando le somme, dicono alcuni, quello dei lavori era solo un pretesto per togliere definitivamente di mezzo l’anziano sacerdote e riprendere possesso dei locali, di proprietà della Curia, per affittarli e rendenderli in questo modo renumerativi più di quanto non lo fossero ospitandovi il centro di Don Bellè.

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L’incendio del 15 dicembre.
Insomma, tutto si era concluso felicemente, almeno per Don Bellè e i “suoi” poveri. Ma per quest’uomo energico e, nonostante l’età, ancora intraprendente, le prove non erano ancora finite. Sono da poco passate le 17 del 15 dicembre quando un incendio coinvolge gravemente il piano terra e una parte del piano superiore del centro (leggi qui).

Secondo le testimonianze raccolte da VignaClaraBlog.it, l’unica persona presente in casa al momento dell’incendio era un’ospite che da una decina d’anni frequenta il centro (generalmente Don Bellè va via intorno alle 15:30).
Per scaldare il cibo, dato che non c’è una vera e propria cucina, viene utilizzato il camino, dove è posta una griglia. Secondo alcune fonti l’incendio sarebbe divampato quando la donna avrebbe appoggiato sulla griglia una bacinella d’acqua di plastica. Secondo altri invece le fiamme sarebbero divampate a causa di un divano che era stato posizionato troppo vicino al camino. E da lì si è propagato facilmente in quanto la casa era letteralmente satura di materiale infiammabile: vestiti, pezzi di carta, materiale sintetico.

Uno studente del vicino College si è accorto del pericolo e ha scavalcato la recinzione per aiutare la donna a salvarsi. La prima chiamata per avvisare i soccorsi pare sia partita proprio dal suo cellulare, alle ore 17 e 12 minuti. I pompieri sarebbero arrivati alle 17 e 40, e forse nel frattempo i presenti hanno provato come potevano ad arginare l’incendio (non altrimenti si può spiegare la presenza di un estintore della Curia stamattina sulla scena del disastro).

Per una beffa crudele i lavori sarebbero stati completati proprio il giorno successivo all’incendio. Le pareti erano state ridipinte e l’impianto a gas, come i sanitari, reinstallato. I danni, al momento, sembrano ingenti. L’edificio è stato dichiarato inagibile. Il tetto è pericolante e tutto da rifare. La parte più colpita è il piano terra dove si trovava il camino, ma anche il piano superiore ha subito seri danni.

Spente le fiamme ma non le energie.
Per il momento il problema più urgente è quello di trovare al più presto un luogo per accogliere i bisognosi che quotidianamente, e soprattutto in questi giorni di freddo pungente, chiedono assistenza al centro. Non sarà facile. Non resta che augurarsi che la forza e la determinazione di quest’uomo, che l’età e le fatiche non hanno minimamente scalfito, siano tali da aiutarlo a superare questa nuova difficoltà. Chiunque lo conosce bene una volta invitato a tracciarne un ritratto ne mette in risalto prima di tutto lo spirito d’indipendenza.

A voler essere precisi, le voci che circolano sostengono che è proprio questa indipendenza in un uomo di chiesa il motivo per cui la parte più tradizionalista della Curia non vede sempre di buon occhio “l’angelo dei poveri”.

Per puro dovere di cronaca riportiamo che tra le tante teorie levatesi a commento dell’accaduto c’è anche quella che vuole per scontato quanto successo, conseguenza della presunta noncuranza con cui veniva gestito il centro. Ma si tratta di illazioni.

È certo soltanto che una fondazione votata all’aiuto e all’assistenza di chi non possiede niente ha subito un duro e violento arresto. La vicenda dello “sfratto” ha dimostrato la tenacia di Don Bellè. La cosa migliore sarebbe cogliere l’occasione per dimostrare ancora una volta che in questo energico sacerdote centenario nulla è cambiato.

Adriano Bonanni

© riproduzione riservata – proprietà EdiWebRoma

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4 COMMENTI

  1. Una storia molto interessante ed anche molto umana che non conoscevo affatto.
    Ringrazio Vignaclarablog per averla pubblcata. Come possiamo aiutare don Bellè, a chi rivolgersi per una donazione ?

  2. Vorrei proprio sapere se dietro l’incendio c’è la mano dei soliti che non hanno mai visto di buon occhio il caro don bellè. E poi la storia dello sratto di questa estate da parte della Curia è difficile da digerire…è una vergogna!

  3. Conosco Don Bellé da una vita… da quando dirigeva “Cronaca”… il periodico che per decenni è stata l’unica fonte di informazione per quel vastissimo territorio che rientra nella Diocesi di Porto e Santa Rufina…
    Ricordo ancora il clima da “Don Camillo e Peppone” con i responsabili locali del PC (che sicuramente gli volevano bene, ma che quando si trovavano in contrasto su qualche punto, proprio con lui che era stato condannato a morte dai titini, vedevano sprizzare scintille… che poi rientravano nella comune attenzione al bene degli ultimi).
    Be’ DERBE (suo pseudonimo di allora), coraggio che se non ti hanno fucilato i titini, se non ti hanno ammazzato i cento anni… e non ti ha sfrattato S.E Il Vescovo… non saranno quattro fiamme a metterti in crisi…
    Settimio (con affetto9

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