Con un concerto strepitoso, intenso ed indimenticabile, gli U2 hanno concluso al Foro Italico, allo Stadio Olimpico di Roma, la tranche europea del loro fantasmagorico 360° Tour.
Al cospetto di 75.000 spettatori entusiasti, partecipi e in visibilio, la band di Dublino, attiva discograficamente da trent’anni, ha regalato una performance di due ore che resterà nel cuore della gente, accorsa da tutta Italia e da mezza Europa, scrivendo un’altra, meravigliosa pagina nella storia della musica rock.
Sono le 21.27, è passata quasi un’ora dalla fine del set di quarantacinque minuti degli Interpol, l’ottimo gruppo indie con base a New York City che apre i concerti della band irlandese e, dopo che un piccolo esercito di addetti al palco si è occupato di sistemare gli ultimi dettagli, nello stadio, ancora con le luci tutte accese, si diffondono le note di Space Oddity di David Bowie.
E’ il segnale convenuto, è il momento che tutti aspettano con trepidazione.
Per questo appuntamento, molti hanno affrontato un lungo viaggio dal nord o dal sud Italia, altri hanno preso un aereo dalla Germania, dalla Spagna o dalla Francia, altri ancora hanno stazionato fin dal mattino nella zona del Foro Italico alla ricerca spasmodica di un prezioso tagliando per uno show il cui sold out era annunciato da tempo.
Mentre la voce suadente di Bowie canta “ground control to Major Tom“, il quartetto irlandese, accolto da un boato fragoroso e dal lampeggiare di migliaia di fotocamere, fa il suo ingresso trionfale nello stadio, prendendo posto sul palco, al centro di the claw, l’artiglio, la mastodontica struttura che sormonta la scena con il suo armamentario supertecnologico di schermi giganti, luci, ponti mobili ed impianti di amplificazione.
Con la nuovissima e strumentale Return of the Stingray Guitar, che probabilmente sarà inclusa nel prossimo album della band, e con gli spettatori tutti in piedi, inizia il concerto: Bono scalda la voce e il pubblico scandendo più volte “Ro-ma! Ro-ma!” e ricevendo ogni volta in cambio ovazioni provenienti da tutti i settori.
Segue Beautiful Day (da All That You Can’t Leave Behind, pubblicato nel 2000), al contempo un solare invito a vincere la negatività ed una promessa che verrà ancora una volta mantenuta.
Poi, si ritorna indietro di trent’anni esatti, a ripescare una gemma inimitabile degli esordi discografici, durante la quale la chitarra di The Edge fa scintille: la trascinante ed energetica I Will Follow, la traccia d’apertura di Boy, il primo disco uscito sul mercato il 20 ottobre 1980, mette l’argento vivo addosso a tutti e strappa applausi fragorosi.
E’ il momento di sconfinare nel “danzereccio” e nei suoni distorti di Get On Your Boots (da No Line on the Horizon, 2009), prima che Bono interpelli il pubblico domandando e chiedendosi: “Che ora è nel mondo? Dove stiamo andando?” e prima che si ascolti l’intro arabeggiante di Magnificent, uno dei pezzi migliori e più significativi dell’ultimo album.
Ancora The Edge sugli scudi per la successiva e trascinante Mysterious Ways (da Achtung, Baby, 1991), cui seguono l’esplosiva Elevation (ancora da All That You Can’t Leave Behind), con il pubblico scatenatissimo, e la bellissima Until The End Of The World, un altro pezzo estratto da Achtung, Baby che dà il titolo e aggiunge suggestioni al visionario film di Wim Wenders uscito nello stesso anno.
La band, travolta dagli applausi e dal calore del pubblico, si ferma per riprendere fiato e Bono dice al microfono: “Grazie! Grazie mille! Grazie, Roma, per questa accoglienza… Ci ricordiamo dello show allo Stadio Flaminio (NdR: era il 27 maggio 1987, nel corso del tour seguito all’uscita di The Joshua Tree), il posto dove ci siamo innamorati reciprocamente, dove ci siamo innamorati di Roma… Grazie per essere stati vicini ai nostri cuori in tutti questi anni…. Sono felice di essere sul palco insieme ai miei tre migliori amici!“.
Oltre a The Edge, Bono presenta gli altri due componenti del gruppo, una delle sezioni ritmiche più precise e poderose dell’intera storia della musica rock, garanzia di solidità e sinonimo di puntualità: Larry Mullen, Jr. alla batteria ed Adam Clayton al basso. Applausi strameritati.
Dopo che Bono ringrazia, ancora, per la pazienza e la perseveranza dei fans, arriva il momento più bello e commovente, più intenso e magico della serata.
Preparata dagli appassionati e stracompetenti ideatori di www.u2place.com, il portale italiano dedicato alla band dublinese, sulle note di I Still Haven’t Found What I’m Looking For (da The Joshua Tree, 1987) e con le luci dello stadio tutte accese, ecco la bellissima coreografia che coinvolge 52.000 persone: alzati in aria i fogli di carta trovati sul proprio posto a sedere, gli spettatori della curva e dei distinti nord realizzano la bandiera italiana, quelli della curva e dei distinti sud formano la bandiera irlandese, mentre il pubblico della Tribuna Tevere dà vita alla scritta “ONE” in rosso su sfondo bianco.
Il pezzo è memorabile: tutti lo gridano, lo sentono, se ne appropriano, la band è incantata e si gode questo splendido tributo. Al termine della canzone, Bono ringrazia, commosso, in italiano: “Che serata magica! che città magica!“.
Ma non è finita: a seguire arriva uno dei nostri pezzi preferiti in assoluto, per la sua intensità e profondità: da The Unforgettable Fire, il disco della consacrazione uscito nel 1984, ascoltiamo una struggente versione di Bad, che include frammenti di un’altra canzone indimenticabile, All I Want Is You (da Rattle & Hum, 1988).
Pelle d’oca, lacrime agli occhi, mani alzate, emozione palpabile, gioia di esserci. Lo stadio ridotto alle dimensioni di una stanza, gli artifici e gli effetti speciali dell’artiglio (peraltro, assai spettacolari) stracciati dall’emozione della musica e dall’alchimia tra pubblico e band.
Dopo Mercy, bella outtake lasciata fuori da How To Dismantle An Atomic Bomb (2004), Bono ringrazia gli Interpol e tutte le persone che hanno lavorato insieme a loro, tutti coloro che hanno messo in piedi e fatto viaggiare questo tour dalle cifre a sei zeri e dalle dimensioni colossali.
Durante In a Little While (All That You Can’t Leave Behind), Bono fa salire una ragazza sul palco, la prende per mano mentre canta di un uomo che un giorno sogna di volare, di un uomo che porta la sua astronave nei cieli, e mentre i megaschermi mostrano le immagini del nostro pianeta visto dal cosmo e restituiscono i saluti di un’astronauta della stazione spaziale.
Un altro momento toccante arriva con Miss Sarajevo, con Bono che canta in un italiano impeccabile anche la parte che fu di Luciano Pavarotti: “dici che il fiume trova la via del mare e come il fiume giungerai a me, oltre i confini e le terre assetate. Dici che come fiume, come fiume, l’amore giungerà“.
Mentre the claw si accende di mille colori e le sue luci arrivano fino al cielo, viene eseguita la trascinante City Of Blinding Lights, che fa saltare tutti, e successivamente è il turno di Vertigo, con tutti gli spettatori ad introdurla gridando l’equazione rock-matematica uno, dos, tres…catorce! e con la chitarra di Edge a farla ancora da padrona.
Entrambi i pezzi sono tratti da How To Dismantle An Atomic Bomb. Torna ancora la dance e la voglia di non prendersi troppo sul serio con la versione remix di I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight, introdotta dall ritornello di Relax e conclusa da alcuni versi di Two Tribes dei Frankie Goes To Hollywood. L’Olimpico diventa una discoteca, difficile star fermi e non sorridere. Impossibile non divertirsi.
Si cambia, però, immediatamente registro. Diceva Italo Calvino che un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire: questa definizione calza a pennello per Sunday Bloody Sunday, il pezzo – il classico, appunto – che viene eseguito subito dopo e che è contenuto in War (1983).
Questa canzone, originariamente dedicata al conflitto che dilaniava l’Irlanda del Nord, è ora per la gente dell’Iran, oppressa e schiacciata da una dittatura feroce: “turn on your radio, turn on your radio! Radio Teheran, can you hear us?“, è l’invocazione accorata che Bono lancia dal microfono.
Nel corso del pezzo, il cantante riesce ad inserire anche il ritornello di Get Up, Stand Up, la canzone di Bob Marley che Bono dedica al coraggio di Roberto Saviano: alzati e combatti per i tuoi diritti: non cessare la lotta! “Un pensiero e una preghiera per Aung San Suu Kyi” dice Bono dal palco, prima che M.L.K. (da The Unforgettable Fire) introduca il pezzo che la band ha scritto per la leader birmana, ossia Walk On (da All That You Can’t Leave Behind): stanotte il gruppo e il pubblico camminano per lei, per un’altra persona, dopo Martin Luther King, venuta nel nome dell’amore.
Mentre sullo schermo compaiono le immagini della leader birmana e della “rivoluzione zafferano”, che fu repressa dalla dittatura militare, gli attivisti di Amnesty International portano sul palco le candele dell’associazione per i diritti umani alla quale gli U2 sono vicini da anni. E’ una promessa: non camminerai mai sola!
Sono le 23.00 e Bono dice in italiano: “buonanotte, grazie mille”, la band lascia lo stage. Ovviamente, non è finita.
Sullo schermo compare l’immagine sorridente di Desmond Tutu, l’arcivescovo anglicano che fu determinante nella lotta contro l’apartheid in Sud Africa e che per questo nel 1984 fu insignito del Premio Nobel per la Pace.
In prima linea nei progetti volti a sconfiggere la piaga dell’AIDS nel continente africano, il religioso, con fare ironico e divertito, invita “questo meraviglioso pubblico che mi guarda a 360° gradi” a continuare ad impegnarsi per il mondo perchè “we are the same people…we are one…we are one“, introducendo così il primo bis, ossia One, il pezzo meraviglioso ed accorato che tutto lo stadio canta, che è incluso in Achtung, Baby (1991) e il cui finale sfocia nell’inno religioso Amazing Grace, che a sua volta precede la travolgente, liberatoria e sconfinata Where The Streets Have No Name (da The Joshua Tree). “Bellissima gente! Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie mille!” dice Bono al microfono ricambiando l’affetto calorosissimo del pubblico dell’Olimpico.
La band saluta e per la seconda volta lascia la scena. Ma, ce n’è ancora: dopo qualche minuto – sono le 23.18 – la band riguadagna il palco per una ipnotica ed incalzante Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me, il brano che compare nella colonna sonora del film Batman Forever (1995), e per una meravigliosa versione di With or Without You (da The Joshua Tree) con un Bono visibilmente emozionato.
Le luci sono tutte accese, il cantante della band fa intonare “happy birthday” a tutto lo stadio in onore del compleanno di un amico e, dopo aver detto: “è un luogo stupendo, spegniamo le luci ed ammiriamo la Via Lattea“, attacca Moment of Surrender, il lungo brano di No Line on the Horizon che alle 23.40 chiude uno spettacolo che ha conquistato senza riserve i nostri cuori.
Giovanni Berti
© riproduzione riservata – proprietà EdiWebRoma
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Recensione impeccabile: puntuale, esaustiva, brillante
Scritta da uno “one” che ama davvero la musica in tutte le sue variegate forme e poliedriche sfaccettature. Grande !!!
ottima recensione che ci fà rivivere l’ottima performance degli U2.
perchè non provare a trasformare una passione in un lavoro vero e proprio?
alla prossima recensione al prossimo concerto.