Ha vissuto a Vigna Clara dal 1957 al 1980, ha passato la sua giovinezza nei giardini di piazza Jacini, al bar Lazzareschi, all’ombra del grande palazzo “Commerciale”, uno dei primi centri commerciali costruiti a Roma. E’ Amedeo Tosco, 67 anni, ex giornalista de il Messaggero e della Rai, oggi docente di giornalismo alla Griffith University in Queensland, Australia.
A 14 anni è andato ad abitare con la famiglia in via Stefano Jacini, lì è cresciuto, lì si è sposato, lì è nata sua figlia. Poi, nel 1980, il destino lo ha portato in Australia. Ma il suo cuore è rimasto a Vigna Clara e di tanto in tanto “passeggiando”, grazie a Google Heart, per le strade del quartiere, cerca i ricordi della sua gioventù.
Ed è così che, navigando in rete, si è imbattuto in VignaClaraBlog.it.
Dall’incontro è nato uno scambio di email e poi l’idea dell’intervista: non potevamo non approfittare infatti della testimonianza di un “vignaclarino” doc per raccontare la genesi di questo spicchio della Capitale. La sua memoria è così ricca di particolari da far impallidire anche Wikipedia.
Prof. Tosco, nel 1957, a 14 anni, lei va a vivere a Vigna Clara: che ricordi ha della sua gioventù in queste strade, com’era il quartiere in quegli anni, dove cominciava, dove finiva e cosa c’era oltre il confine? Sono arrivato a Vigna Clara nel 1957, avevo 14 anni quando incontrai per la prima volta uno dei quartieri di Roma che ancora oggi amo tantissimo: Vigna Clara. Mi sono domandato spesso il perché di questo affetto per un pugno di strade, la risposta che ho trovato si riassume nelle parole “la mia giovinezza” che, per quanto brutta o bella possa essere stata, è sempre degna di essere rivissuta e ricordata con profonda nostalgia.
Mi domanda come era Vigna Clara nel 1957? Dopo Ponte Flaminio, a circa un paio di chilometri dal monumento “Victores Victuri” si ergeva, in piena campagna al bivio tra la Cassia nuova e la Flaminia, la zona residenziale di Vigna Clara costruito su terreno della società Immobiliare, che rimase proprietà privata fino quasi alla fine degli anni 60.
“Ricordo perfettamente”, direbbe Nino Vascon, che all’inizio di via Jacini, sulla sinistra, dove c’è, o c’era, la banca esisteva un capannone dell’Atac, credo abbandonato date le condizioni, dove all’interno si vedevano, guardando dalle fessure della porta, un paio di set di ruote di tram ed un argano. Era un capannone molto vecchio, tanto vecchio che sul muro si leggeva ancora “vinceremo”.
Quasi dimenticavo: a metà strada tra il monumento e Vigna Clara c’era il limite comunale per le auto pubbliche; per farsi portare a via Jacini bisognava sborsare il doppio di quanto indicato dal tassametro, dato che bisognava pagare il ritorno al tassista.
Mi chiede dei confini di Vigna Clara? oltre la Cassia nuova, poi ribattezzata Corso Francia, i limiti erano: via Vilfredo Pareto, che ancora non esisteva come tale, via Pompeo Neri che si esauriva sulla vecchia Cassia, oltre non vi erano che campi (via Zandonai, via Nemea , piazza dei Giochi Delfici ancora non esistevano se non sulle planimetrie dell’Immobiliare) e via Napoleone Colajanni che, come via Neri, si concludeva su dei grandi prati.
Piazza Carli, via di Vigna Stelluti, via Sallustio Bandini erano aree incolte dove andavo a giocare a pallone o a caccia di rane. Ricordo, sempre “perfettamente”, che una mattina uscendo di casa (abitavo al numero 23 di via Jacini) per andare a scuola mi trovai, e ci trovammo, circondato da un gregge di pecore con un vecchio pecoraio ed i suoi cani che si guardavano smarriti tra quei palazzi.
Si venne a sapere che via Jacini, via Neri e via della Camilluccia facevano parte, da tempo immemorabile, di una pista che i pastori seguivano per spostarsi dalla zona di forte Boccea ai pascoli oltre la via Flaminia..
Ora immaginiamo di essere seduti al bar Lazzareschi in un pomeriggio di settembre dei primi anni ’70. Cosa e chi vede intorno a lei? Non mi è facile rispondere a questa domanda perché vedo tre cari amici, cari come fratelli, che non sono più tra noi.
Eravamo legati, e non solo con loro tre, da un profondo affetto e da una grande stima, vivevamo quasi in simbiosi, ci vedevamo tutti i giorni e ci cercavamo con le scuse più banali. Spessissimo andavamo a cena insieme , prima senza e poi con le nostre gentili signore, nei molti ristoranti della zona: ai Due Otri, da Baffone sulla Cassia (come non ricordare la carne alla griglia e le fettuccine al ragù che cucinava), su, su fino a Capena.
La sera, soprattutto in primavera ed in estate , con la scusa del caffè, ci riunivamo attorno ai tavolini del bar di Piero Lazzereschi, carissimo amico e comprensivo anfitrione che spesso si univa a noi, alla ricerca di quel filo di ponentino che spesso raggiungeva piazza Jacini.
Si stava seduti fino dopo la chiusura del bar a parlare di un po’ di tutto, generalmente di politica, e dove si architettava qualche scherzo.
Ricordo che uno dei nostri amici si vantò, molto convinto, di essere un grande “sciupa femmine” e, a seguito delle prese in giro, disse la frase “sono come un montone”. Non l’avesse mai fatto.
Il giorno dopo tappezzammo piazza Jacini, anche la cabina telefonica, con dei manifesti con disegnato un paio di rampanti corna tortili e la scritta: “montone infuriato offresi-via Colajanni”, dato che il nostro “sciupa femmine” abitava proprio a via Colajanni. Questo avvenne verso l’estate del 1972 o del 1973. Forse qualcuno dei vecchi vignaclarini si ricorderà di questo stranissimo e inusitato poster.
Mi domanda cosa vedo? L’edicola dei giornali di Ennio, e di fronte la pompa di benzina. Quando avevamo 18 anni, il benzinaio, persona molto comprensiva, ci permetteva di riempire i nostri accendisigari “zippo” (chi non aveva uno “zippo” in tasca in quel primo scorcio degli anni’60) con quel po’ di benzina che rimaneva nel tubo della colonnina.
Poi vedo la cartolibreria Velitti con accanto il negozio di dischi Velitti, a piano terra del Commerciale la tabaccheria Velitti e alla porta accanto il negozio di regali, sempre Velitti. Qualcuno, se ricordo bene, suggerì di ribattezzare piazza Jacini in piazza Velitti. A parte la battuta, eravamo molto amici con Amedeo Velitti, lui era la mente dietro l’organizzazione.
Un’altra cosa che vedo, stando seduto la sera a cena al bar di Piero Lazzereschi soprattutto di sabato, è una marea di macchine parcheggiate nei modi più strani ed astrusi, l’unico punto senza macchine erano i rami dell’olivo (c’è ancora?) al centro della piazza vicino alla buca delle lettere.
Per decenni, ed ancora oggi, fulcro aggregativo del quartiere è la Parrocchia di Santa Chiara. La ricorda? Della parrocchia di Santa Chiara ho tre ricordi, due tristi e uno bellissimo.
I due tristi sono i funerali di mio padre e mia madre deceduti tra maggio ed agosto nel 1972, il terzo è il battesimo di mia figlia Irene nel 1975. Non solo, ma Irene ha frequentato l’asilo proprio in questa parrocchia. Purtroppo non mi sono sposato a Santa Chiara, ma a Santa Maria in Via, chiesa parrocchiale di mia moglie.
Piazza Jacini è il cuore pulsante del quartiere. Sorta negli anni ’50 come un piccolo salotto all’aria aperta, sta correndo il rischio di essere sventrata per far posto ad un parcheggio interrato. Per difenderne l’integrità è nato un Comitato di cittadini che si batte contro il temuto scempio. Se lei fosse qui, lo supporterebbe? So tutto sul parcheggio sotterraneo e so anche che il progetto è stato giustamente sospeso.
Un tale parcheggio avrebbe deprezzato Vigna Clara sia a livello immobiliare che di pace quotidiana, ma il problema sussiste non può essere minimizzato ed una soluzione in merito va presa.
Come ho già accennato il traffico e soprattutto il parcheggio sono sempre stati i peggiori nemici di piazza Jacini specialmente nel weekend. Negli anni settanta il problema era collegato al cinema, oggi non so.
Non passava fine settimana senza che un paio di auto gru del comune portassero via quattro o cinque macchine, dato che molte si parcheggiavano all’angolo tra piazza e via Jacini sul marciapiede, dove era la fermata dell’autobus, non lasciandogli spazio sufficiente per girare. Arrivava anche una squadra di vigili urbani e quando se ne andava, piazza Jacini sembrava un’edicola di giornali per quante multe erano attaccata sui parabrezza .
Era la primavera 1974, ricordo sempre “perfettamente”, e un sabato sera stavo con mia futura moglie e gli amici seduto fuori a cena da Piero. Era un tipico sabato sera vignaclarino, la piazza straripava di macchine.
I parcheggi tra il Commerciale e l’aiuola centrale erano a spina di pesce, chiaramente super affollati, quando arrivarono i proprietari di quattro macchine, regolarmente parcheggiate, proprio di fronte a Lazzereschi. Trovarono una Jaguar, parcheggiata parallelamente al marciapiede, chiusa e con tanto di antifurto che le bloccava tutte e quattro.
La cosa interessò un po’ tutti, anche perché quello che mancava alla piazza era la novità e il colore. Tutti si sguinzagliarono alla ricerca del proprietario che si presentò, uscendo dal cinema, dopo un’ora e mezzo. I quattro non dissero una parola e non fecero una piega, lo agguantarono per il bavero della giacca e lo presero a sberle.
Nel trambusto lo trascinarono per il parcheggio facendogli spolverare tutte le macchine. Devo dire che io sono contrario alla violenza però, mi vergogno a dirlo, ho applaudito e con me tutti i presenti.
Una domanda personale: da Vigna Clara a Queensland il percorso è molto lungo. Cosa l’ha portata fin laggiù? Francamente anche io me lo domando ancora. In Italia ero giornalista professionista, sono stata redattore prima del Messaggero e poi della Rai, chi stava meglio di me?
Forse lo spirito di avventura, forse il Queensland dove esiste un’estate perenne, probabilmente alcuni carissimi amici della Griffith che cercavano un docente per i corsi di studi italiani sul nostro giornalismo ed in particolare sulla stampa italo-australiana, o forse mia cognata con il marito che da diversi anni vivevano a Brisbane, i meccanismi della mente umana sono strani e spesso sfuggono al suo proprietario.
Comunque devo dire che almeno qui non sto sotto stress come in redazione, non devo correre appresso alle notizie e non ho la mannaia della chiusura dell’edizione. Prendo le cose con calma, ho tutto il tempo per scrivere e soprattutto scrivo quello che realmente penso, l’unica differenza è che non viene stampato sulle colonne del giornale ma presentato oralmente agli studenti.
Alla fine dell’anno accademico, gli argomenti più interessanti sono raccolti in una monografia edita dall’università stessa.
C’è un’altra cosa che forse mi ha spinto a trasferirmi in Australia, la dico solo adesso perché me ne vergogno un po’ in quanto cozza con lo spirito professionale di un giornalista: mi ero stufato, dopo quasi 15 anni, di stare al guinzaglio di un editore, di pensare con il suo cervello e di scrivere le cose lui voleva. Nella mia vita di giornalista avrò scritto si è no 10 articolo che rispecchiavano le mie idee e i miei punti di vista.
Ed oggi tornerebbe a vivere a Vigna Clara? E come se l’aspetta? Dalla realtà virtuale di Google Heart a quella reale il passo è lungo...Due anni fa sono andato in pensione, ho 67 anni, e ho pensato seriamente di ritornare a Vigna Clara.
Mi sono messo a cercare casa in rete e ho fatto un incontro incredibile , ma anche tanto triste: ho trovato in vendita il mio appartamento di via Jacini, che io avevo venduto nel 1980 a 94 milioni di lire, ora ne chiedono 1.050 000 euro, prezzo sceso a 960.000 euro. Comprarlo? Nel mio portafogli ci sono dollari australiani non sterline inglesi, e per un dollaro mi danno 60 centesimi di euro.
Cosa mi aspetto? Niente, assolutamente niente. Vigna Clara è la mia giovinezza il mondo in cui sono cresciuto e sono diventato adulto, Vigna Clara è casa mia, non importa se è cambiata: rimane sempre e comunque la mia sola, unica e vera casa. From Australia with love.
Grazie professore, da oggi ci farà piacere considerarla nostro lettore più che “onorario”; sapere che VignaClaraBlog.it viene letto anche in Australia ci riempie l’animo di orgoglio.
Claudio Cafasso
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