Voci sospese, Ponte Milvio. Una passerella di pietre gettata oltre il fiume e verso quella che era una volta la campagna romana. Tutto qua? Non solo. Ponte Milvio, come tutti i ponti del mondo è un luogo molto speciale. Per cominciare, Ponte Milvio è il mio ponte. Il mio ponte non sta nè in cielo nè in terra, il mio ponte è sospeso. Come tutti i ponti.
Ponte Milvio non appartiene nè a questa riva, nè all’altra, è estraneo alla fisicità dei quartieri che unisce. Sta nel mezzo, è sospeso nel vuoto; quando ci cammino sopra faccio finta di niente ma avverto chiaramente un vago senso di vertigine. Il ponte, lo percepisco ma forse non lo voglio confessare, è minaccioso perchè non vuole la mia amicizia o la mia comprensione, non si accontenta della mia attenzione ma la esige: Ponte Milvio vuole il mio rispetto. Lo sento.
Il ponte, un ponte qualunque, nella testa della gente, è terra di nessuno. Il ponte è una struttura che non fa parte della città, è un corpo estraneo rispetto al normale tessuto urbanistico. Lo sai. È un corpo aggiunto.
E la vita si ferma, quando si attraversa un ponte, un ponte qualunque: hai lasciato una sponda alle tue spalle e devi raggiungere quella opposta. Ti rendi conto che non ti trovi a tuo agio perchè allunghi il passo e avverti una sensazione di apnea che ti passa solo quando hai messo il piede oltre il confine immaginario del ponte, quando arrivi sul selciato della riva opposta. Strano. Spiacevole. Ma è bello essere giunti dall’altra parte e aver abbandonato il ponte alle spalle.
Attraversare un ponte ti da la stessa sensazione di sospensione e di limbo che hai quando ti trovi all’aeroporto, nella sala bagagli, in attesa che salti fuori la tua valigia dal nastro trasportatore. Non vedi l’ora di uscire dalla porta della dogana e rientrare nel mondo. Quel luogo non ti appartiene, ti mette a disagio, è un non-luogo. Vivi la stessa emozione quando hai intrapreso l’attraversata del ponte, non vedi l’ora di aver guadagnato l’altra parte.
La distanza del ponte tra le due rive non la misuri in distanza oppure in metri, ma la misuri con il movimento delle lancette dell’orologio che ci vuole per attraversarlo. Il ponte racchiude nel suo lungo braccio che divide le due rive, il tempo, un tempo sospeso tra due momenti della tua vita. Secondo una leggenda antica, il tempo che tu impieghi nell’attraversare un ponte ti sarà reso alla fine dei tuoi giorni.
Il ponte è una sfida alla natura: gli architetti che lo hanno progettato hanno unito due sponde che la natura voleva divise, gli architetti hanno osato scavalcare un fiume che un giorno molto lontano si prenderà la sua rivincita e punirà il loro orgoglio e, come è avvenuto con il Ponte Rotto, lo inghiottirà. Gli architetti hanno fatto opera di grande magia, facendo galleggiare nell’aria una strada sospesa tra terra, acqua, aria e sole.
Il ponte non è un luogo normale. Il ponte, nell’emotività della gente non è un oggetto che mette a proprio agio, come lo può fare un parco con fontana o una piazzetta o un vicolo della città. Il ponte, nel subconscio di molti, è avvertito come una minaccia.
Per quanto possa essere proporzionato nelle sue linee, armonico o monumentale, il ponte ha sempre qualcosa di inquietante; per chi ci passa sopra il ponte mette addosso le stesse emozioni che in natura possono dare i baratri, i pozzi, le scogliere. Il ponte riporta nel cuore di un centro abitato esperienze e paure antiche, riproduce la drammaticità della natura.
Il ponte lo attraversi rapidamente, difficilmente ti fermi nel mezzo per sporgerti dalla spalletta e per vedere i canoisti che remano o i gabbiani che galleggiano sul pelo dell’acqua. Il ponte ti mette a disagio. Hai paura di cadere. Il ponte ha preso molte vite. Il ponte non è mai sazio. Il ponte vorrebbe anche la tua vita, lo sai, ti fa paura, ma non lo hai mai confessato a nessuno.
Ponte Milvio è però un’esperienza. Non è una strada qualunque che percorri con la testa fra le nuvole e di cui, una volta arrivato a destinazione, puoi non ricordare minimamente di aver percorso.
Facci caso, Ponte Milvio è un luogo estremamente reale, e quando lo attraversi, improvvisamente ti risveglia dai pensieri nei quali sei immerso. I tuoi sensi ti richiamano alla realtà e richiedono la tua attenzione.
Attraversandolo ti senti come assalito da una molteplicità di sensazioni: per prima cosa ti senti inondato di luce e di colore; la tua coscienza si spalanca sugli spazi dell’alveo del fiume, l’orizzonte ti si apre di fronte agli occhi e sotto i tuoi piedi, senti il vento che ti sfiora la faccia, avverti sulla pelle il calore del sole, vedi in lontananza le architetture delle case che definiscono la profondità del cielo e impongono una cornice alle nuvole lontane.
Quando per caso ti trovi a passeggiare lungo la sponda del fiume e lo guardi dal basso, ti rendi che il ponte non è la sommatoria inanimata di pietre, ma è un essere mitologico, è un gigante vivente. Vedi chiaramente la spinta mostruosa degli archi che dai pilastri affondati nell’acqua, sollevano una strada e le vite molteplici dei passanti e le proiettano verso il cielo, lo stesso cielo che vedi incorniciato con le sue nuvole negli archi, occhi vuoti ed infiniti del gigante.
Ponte Milvio è incompiuto. E’ sbilanciato da una tozza torretta nell’aspetto simile alle torri di sabbia, gioco di bambini in riva al mare. Se gli architetti avessero fatto ben il proprio lavoro, il ponte avrebbe oggi una torretta gemella dalla parte opposta.
Senti che i pesi del ponte non sono bene distribuiti e che in qualunque momento l’altra parte del ponte potrebbe sollevarsi per il peso esercitato dalla torretta.
Ma Ponte Milvio ha una sua voce inconfondibile: la voce di mille voci. Il suono delle voci della gente che passa, dei ragazzi che strillano, il suono dei passi strascicati dei vecchi, del rumore affrettato dei passi dei bambini che si rincorrono, della voce dei gabbiani, del rumore delle acque che inciampano su scogli mezzi sommersi. Il suono delle voci sussurrate degli amanti, il suono delle carezze sui visi e di mille baci.
Studiosi di paesi lontani prescrivono alle giovani coppie di recarsi a vedere insieme il panorama che si gode da un ponte, o da una torre oppure da un punto sopraelevato, perchè la vista del vuoto procura una sensazione di pericolo e questo li porta ad avere un motivo in più di avvicinarsi, abbracciarsi e rincuorarsi, per esorcizzare la sensazione di disagio prodotta dal vuoto.
Gli innamorati questo lo sanno, da sempre; non hanno bisogno che uomini di scienza glielo dicano; per gli innamorati è naturale seguire la via che porta a Ponte Milvio, ci vanno apposta.
Gli innamorati non lo capiscono ma lo percepiscono, sanno che la vita è come l’acqua del fiume che scorre di sotto, non è mai la stessa e non torna mai indietro. Loro ci vanno apposta, lì su Ponte Milvio, scommettendo di fermare il tempo, per sempre, per un momento. Perchè il loro cuore, il mio cuore è a Ponte Milvio.
Un poeta direbbe “volo di stormi nel cielo, i ciechi archi di ponte Milvio disegnano l’aria”
L.A. Kowalski
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provate a leggere il ponte sulla drina, di Ivo Andric (“c” diacritica)
Trovo queste riflessioni bellissime e ben scritte
Ponte Milvio lo conosco da sempre,q quando ancora era percorribile in auto,il lo attraversavo in motorino e mi lasciavo alle spalle un pezzo di città, conquistando libertà e distanze
Aderisco a questo pensieri che non ho mai fermato,ma che trovo perfetti