Il panino del boss

Siamo certi che i primi che andranno a mangiarsi il panino nella paninoteca di prossima apertura al Fleming saranno quei cronisti in vena di scoop che a tempo debito hanno raffigurato il quadrante nord di Roma come una sorta di far west, e qui è inutile stare a rammentare manoscritti vergati da novelli Joe Petrosino, gendarmi della parola pronti a puntare il dito ora su un marciapiede mafioso, ora su un passaggio pedonale camorrista, ora un semaforo-spacciatore.

Sì, di colori – aggiungiamo con quel briciolo d’ironia che c’è rimasta, anche se stiamo a stomaco vuoto – e affermiamo con certezza il giallo, il rosso e il verde.

Ciance a parte, l’idea è tutt’altro che peregrina, del resto ‘sti benedetti panini avrebbero pur dovuto avere un nome, no? E una cosa è dire “mi fai un panino con patanegra e pan tomate”, un’altra è dire “me fai un bel panino alla Al Capone”?

La scelta è  vasta, basta saper scegliere il boss di turno, da Frank Costello (che sarà di sicuro entusiasta di esser farcito con roast beef, majo, rucola e zucchine grigliate) al “leggero” John Gotti (tonno, majo, pomodoro e basilico), passando per Antony Corallo (mortadella, scamorza affumicata, melanzane grigliate e crema di basilico) fino ad arrivare all’italianissimo Totò Riina, che abbonda di lonza, ricotta di pecora, pomodori secchi, rucola e olive e che si ordina presumibilmente solo con un pizzino.

Qua l’importante è non vuotare il sacco, ma riempire i “panzominali”, obiettivo minimo per chi evita palestre, piscine, sforzi d’ogni tipo e affini. Ma da buoni mammasantissima siamo certi che a far la fila ci saranno pure quelli che passano le ore sul tapirulan, con le cuffie nei padiglioni auricolari, a sentir musica o a fare affari. Che tipo di affari? Questa è “cosa nostra”…

Massimiliano Morelli

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