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    Se il libro ti “prende” come il maestrale

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    Galvanica Bruni

    Incuriosito dal nome, dalla storia e financo dalla copertina del libro – in rigoroso bianco e nero, stile vintage ricercato ma con estrema eleganza – chiamo al telefono l’autrice di “Mio padre, il capitano Labruna”.

    Chiamo la figlia. Magari sbaglio l’approccio, le porgo immediatamente un “tu” confidenziale che sarebbe consono offrire a una sorella, non a una “perfetta sconosciuta”, ma sono abituato così, quando intervistai Bettino Craxi lo chiamai presidente ma continuai a dargli del tu. A lui come a Jörg Haider, quando andai a Vienna per intervistarlo dopo il trionfo del suo Fpo alle elezioni austriache.

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    Insomma lei, Taty Labruna, magari prima resta sulle sue e sono certo che abbia pensato per un nanosecondo di trovarsi nell’irrealtà, indecisa se attaccare o meno il telefono a quel caterpillar che sta per investirla; ma le basta un amen per inquadrare la situazione e scansarsi.

    Si comincia a parlare, prima durante una pausa del suo lavoro, poi una telefonata, poi un’altra e poi le telefonate si trasformano in ciliege, una tira l’altra.

    E si arriva fino a sera a chiacchierare d’un passato che – maledetto – non torna, su un presente fatto di ricordi, su un padre straordinariamente unico e su una serie di aneddoti di esistenze diametralmente opposte fra loro, lei col padre-agente segreto e io col mio che faceva camminare i treni a furia di raccontar frottole. Insomma, la conoscete la storia dei binari del treno, che viaggiano paralleli e mai s’incontrano? Ecco, l’istantanea è questa.

    Tutto e il suo contrario, comincio a leggere il suo libro consapevole che nel presentarlo lei è stata come quel maestrale di Sardegna che ti prende e ti porta via, e devi avere gambe forti per non farti sbarellare come chi alza troppo il gomito.

    Ecco, smetto col preambolo e leggo il libro. E poi vi racconterò se è il caso di leggerlo. Ma se questa eterna ragazza che ho appena conosciuto ha messo nero su bianco il racconto veloce e ficcante che mi ha fatto nel corso di una “cesta di telefonate”, allora credo proprio che avrò poco tempo libero a disposizione nei prossimi giorni.

    Perché leggere è un’arte. E leggere l’arte regala la stessa sensazione di quando “entra” il maestrale.

    Massimiliano Morelli

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