Il Grande Nord è un viaggio di 4000 chilometri fra Norvegia (molta) e Finlandia (poca), tutti da percorrere fra i 50 e gli 80 all’ora su strade perfette che farebbero invidia a un cantoniere bergamasco, talmente perfette che il rischio maggiore a quella velocità di crociera è quello del sonno, o di una renna desiderosa di essere cucinata per cena che ti attraversa la strada.
Viaggio agevole e comodo sotto ogni profilo; il rischio maggiore è il maltempo che ci ha risparmiato per la quasi totalità del tragitto, con cero da accendere al patrono dei viaggiatori: il tramonto a Capo Nord, con successivo sole di mezzanotte (in realtà era l’una passata), vale da solo il viaggio, se non come bellezza assoluta simile a decine di bellissime scogliere viste in giro per il mondo, certamente come metafora dell’arrivo nel punto più a Nord d’Europa, viaggio che va oltre il viaggio.
Se la Finlandia per il migliaio di km del tragitto non ci ha riservato altro che sterminate distese di laghi e betulle (o altri alberi analoghi), risultando in parte noiosa ma maestosa per il paesaggio infinito, la Norvegia sorprende per gran parte del tragitto: difficile rimanere delusi da un continuo misto di fiordi e montagne, che col sole o con le nuvole basse sono ugualmente affascinanti.
Proprio le nuvole sono uno dei tratti caratteristici del paesaggio in questo cielo chiaroscuro e mutevole, tanto che un viaggio di 15 giorni di sole senza nuvole all’orizzonte sarebbe perfino meno bello di uno col tempo in continua mutazione, come nei fatti è; perfino vedere un paesino su un fiordo col vento che tirava in maniera nemmeno significativa ci ha proiettato in un mondo parallelo nel quale il norvegese a dicembre per rientrare a casa la sera deve farlo con le pietre nelle tasche, se vuole essere sicuro di non volare via quando urla la tempesta.
Un viaggio più da viaggiatore che da turista forse, anche se ognuno dei due potrà prendere il meglio che crede dal percorso, con la differenza che “il turista non sa dove è stato, il viaggiatore non sa dove sa andando” (Theroux)
Di Capo Nord abbiamo detto: baciati dalla fortuna ci siamo stati 3 volte in 12 ore, e sarà un ricordo indelebile. Le isole Lofoten sono l’altro cardine del viaggio, e anche quelle le abbiamo viste con un tempo sempre splendido, per l’odio dei gruppi venuti prima e dopo di noi che vedranno le nostre foto e diranno “ma guarda sti stronzi che bucio di fortuna che hanno avuto…”.
150 chilometri di isole, isolette, ponti, vette, natura, le discese ardite e le risalite, i 2000 scalini per il view point tanto sognato da casa, le spiagge bianche di sabbia o di corallo, la luce al tramonto, a mezzanotte e alle 4 del mattino: decisamente il punto centrale della vacanza, oltre a Capo Nord. E alla sauna finlandese col bagno nel laghetto gelato che mai avrei pensato di apprezzare in quel modo.
Il resto sono scorci, renne ai margini della strada, paesini, vento, tramonti, e tanto silenzio in un clima in diversi posti da ghost town che fa dire ad alcuni “che bello sarebbe vivere qui”, e ad altri “pensa che palle!”.
Ottime le strutture dove dormire, sempre buono il cibo (renna, pane nero, salmone e baccalao su tutti), i prezzi sono generalmente molto più cari dell’Italia, la poca gente locale con la quale vieni a contatto non è ben definibile come simpatica o antipatica: fanno anche loro in qualche modo parte del panorama norvegese, e forse dovresti ubriacarti insieme a loro il sabato sera per vederli sotto una luce diversa.
Viaggio a mio avviso da consigliare in solitudine assoluta, o quasi, per non rovinare il sorprendente silenzio circostante, che quando si viaggia in compagnia tutto finisce in parole, come diceva qualche noto aforista viaggiatore di cui ora non ricordo il nome.
Viaggio facile da consigliare a tutti una volta nella vita.
Anche perchè “meglio un camminatore stupido che un saggio che resti a casa” (proverbio mongolo)
Alessandro Tozzi
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