Un po’ di tempo fa la stampa nazionale ha puntato forti attenzioni sulla zona di ponte Milvio, sottolineando (pure con tanto di grafica) come la zona sia “divisa” fra clan di malaffare, guappi e compagnia cantante. La cosa era (quasi) passata in cavalleria, un paio di giorni di cagnara e poi l’assordante silenzio.
Insomma, tutto evaporato come una bolla di sapone. Ma ogni volta che passo in zona mi guardo le spalle, controllo una, due, tre, quattro volte se il portafoglio è ancora al suo posto e abbasso la manica della camicia per non mostrare l’orologio, che non è di marca e fra le altre cose è vecchio come il cucco.
Mani in tasca, osservo le persone. Le belle figliole che parlottano fra loro, i pischelli tatuati che sorseggiano una birra, un paio di attori a spasso col cane, coppiette di nonni che passeggiano mano nella mano tipo i fidanzatini di Peynet.
Di gente da malaffare, neanche l’ombra. Chessò, con l’immagine fissa nella mente di quell’articolo da far tremare i polsi, mi viene da pensare che magari qualcuno sia andato in vacanza.
Continuo a osservare, c’è una mamma col passeggino, gli incalliti ciclisti che rifiatano, negozianti sull’uscio ad attendere avventori, la normalità regna sovrana. Eppure, quando si parla, pardon, si legge di questa zona la parola più frequente diventa “movida”. Che, spesso, viene accoppiata a ragazzi che alzano troppo il gomito e poi vanno fuori di testa.
A me, invece, pare tutto normale. E a questo punto diventa un’impresa, adesso, raccontare di quel filippino che lunedì mi è corso dietro per restituirmi un braccialetto perso qualche metro prima, sfilatosi dal polso perché sono anni che dico “devo farlo stringere” e poi, puntualmente, non lo faccio stringere.
Gente normale, che ti restituisce un gingillo di poco valore, ma affettivamente importante. Gente che vorresti ringraziare con una piccola mancia o con un semplice caffè, che risponde sorridendo “no, grazie, non si disturbi”. Gente che andrebbe raccontata. Ma le buone notizie non fanno notizia.
Massimiliano Morelli
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