Riceviamo dal lettore Efisio Collu, di professione ottico, e pubblichiamo su sua richiesta una lettera aperta indirizzata alla categoria degli oculisti.
“Signori oculisti, chi scrive è un ottico con esperienza trentennale vissuta sul campo e nel mondo del lavoro. Mi rivolgo a voi per comprendere meglio il vostro operato nei confronti della mia categoria. Gli ottici, appunto.
Negli ultimi tempi sono entrati nel mio negozio clienti operati di cataratta; clienti che non hanno più bisogno dell’occhiale “da lontano” e necessitano ora di quello “da lettura”.
Qui entrate in ballo voi e sorgono i problemi. La vostra categoria “consiglia” l’acquisto di un occhiale “da vicino” – come si dice in gergo “da battaglia” – ovvero “oggetti” che vengono venduti in farmacia, dal tabaccaio, dai “cinesi”.
Inevitabilmente mi pongo domande. Una su tutte. Dopo aver speso migliaia di euro per l’operato di un medico specializzato in oculistica, perché non consigliate di fare un occhiale su misura in un punto vendita con professionisti diplomati in ottica?
Forse – magari è solo una mia impressione, nel caso sono pronto per un confronto – tralasciate il fatto che nel corso degli studi di medicina oculistica la casistica parla di “distanza pupillare” e “centratura delle lenti”. L’occhiale in vendita in negozi non specializzati costa circa dieci euro, e soprattutto le lenti sono standardizzate per una distanza pupillare di 62 millimetri. E’ immaginabile che tutta la popolazione rispecchi questa misura? Credo proprio di no.
Eppure, quando errate una misurazione della vista (premesso che chi lavora sbaglia, nda), la prima cosa che andate a osservare è proprio la “distanza pupillare”, per tacere del fatto che alcuni di voi addirittura “confidano” al paziente che “è l’ottico che ha sbagliato”. Così, forse per accattivare la simpatia del paziente stesso dopo il suo esborso, gli fate acquistare un prodotto economico – aggiungerei molto scadente – sminuendo il lavoro e la professionalità degli ottici. Il motivo? Mah… diciamo che una spiegazione c’è, ed è da leggere fra le righe di questa epistola.
Non attendo repliche, sarebbe come la storia del “cane che si morde la coda”. Aspetto, però, una collaborazione migliore, attiva e proattiva. Grazie per la semplice presa visione”.
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