Juan Carrito, l’orso “problematico” portato in elicottero in montagna dopo la razzia in un negozio di dolci di Roccaraso, è tornato a casa; percorsi un bel po’ di chilometri ha fatto ritorno nel suo territorio dove, a contatto con gli uomini, sembra trovarsi a proprio agio.
Come i cinghiali di Roma Nord che non sembra abbiano intenzione di separarsi dai loto benefattori; non se la sono neppure presa quando si sono accorti che non ci sono più i cassonetti di Via dell’Acqua Traversa, hanno semplicemente cambiato ‘fornitore’.
Tante possono essere le motivazioni che spingono gli animali selvatici, specie se di grossa taglia, ad avvicinarsi ai centri abitati ovvero al luogo dove risiede stabilmente il loro peggior nemico.
Ma la prima è sicuramente la disponibilità di cibo. Quando noi abbiamo fame non dobbiamo fare altro che entrare in un bar e ordinare un tramezzino oppure farci confezionare un bel panino farcito dal nostro salumiere. Se poi abbiamo tempo ci facciamo normalmente una ‘bella mangiata’ in uno dei tanti ristoranti che sempre più numerosi spuntano come funghi dentro Roma.
Per gli animali selvatici non è così; la loro grama esistenza consiste nel passare giorno e notte alla ricerca di cibo sempre più difficile da procurare a causa di numerosi fattori ambientali: aumento delle temperature con conseguente siccità, inquinamento, cementificazione e uso sconsiderato del territorio, spopolamento delle campagne, introduzione di “alieni” che sono dei veri e propri competitori, riduzione, a causa delle attività antropiche, delle aree “wilderness”…
I centri abitati con le periferie degradate e la presenza sempre più diffusa di discariche abusive, sono delle vere e proprie mangiatoie che come dei giganteschi fast-food offrono cibo a buon mercato e spesso dal sapore “sfizioso”. Alimentarsi alle discariche o con i rifiuti che tracimano dai cassonetti poi è una attività che non presenta rischi di sorta perché la grande disponibilità di cibo non innesca conflitti tra le varie specie che giudiziosamente si spartiscono il bottino.
E’ cosi che oltre agli “inurbati” ormai in pianta stabile nelle città anche altri selvatici, come i plantigradi, non disdegnano il cibo facile e possibilmente dolce disponibile nei centri abitati.
A noi piace pensare però che ci sia anche un’altra ragione e cioè che gli animali non domestici abbiano cominciato a scoprire negli uomini un fondo di bontà; certo non in tutti ma in molti si.
La diminuzione delle doppiette, i fermi pesca, i divieti di caccia, la presenza di mangiatoie e di posatoi e soprattutto il fatto che nessuno (o quasi) più pigi sull’acceleratore quando vede una lepre, un riccio o anche una serpe attraversare la strada, fa ben sperare…ai selvatici.
Preso contatto con l’uomo, i selvatici scoprono che il bipede non è più quell’assassino sanguinario che faceva strage di fringuelli, che metteva lacci e tagliole, che lanciava bombe e avvelenava l’acqua dei ruscelli con la varecchina, che metteva reti per fare una scorpacciata di “osei” o sparava ai migratori stanchi dopo una lunghissima traversata…l’uomo non è più un ‘predatore’ ma una fonte sicura di cibo.
Sarà forse l’aria del Natale che ci ha spinto a questa riflessione (che non è affatto a favore di una convivenza uomo-animale) ma come detto ci piace pensare che i selvatici che vivono rintanati ai margini della città ci vedano in questi ultimi anni con uno sguardo più che benevole.
Quanto all’orso Juan Carrito saranno gli esperti a decidere cosa fare e quale soluzione escogitare; speriamo solo che lo facciano dopo le feste natalizie così da consentire al nostro amico una ultima scorpacciata in qualche pasticceria di Scanno o Roccaraso.
Francesco Gargaglia
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