Per la rubrica “letti per voi” vi segnaliamo un libro della OAKS Editrice, Harukichi Shimoi “Un Samurai a Fiume” a cura di Andrea Pautasso (300 pag., 20 euro).
Nell’Aprile di 102 anni, fa con la creazione di una milizia filo-italiana, iniziava l’avventura di Fiume, quell’incredibile vicenda che porterà alla creazione della “Reggenza del Carnaro” e a 16 mesi di occupazione della città di Fiume.
L’Impresa di Fiume, nonostante sia ignorata o poco conosciuta dalla maggior parte delle nuove generazioni, continua a rimanere ancora oggi una delle imprese più straordinarie e originali che siano mai avvenute nella storia dell’Occidente.
Un manipolo di soldati, artisti e avventurieri, guidati da Gabriele D’Annunzio occuparono e tennero per oltre un anno la città di Fiume che il presidente USA Woodrow Wilson (un premio Nobel per la Pace che odiava neri, italo-americani e giapponesi) non volle assegnare all’Italia alla fine del primo conflitto mondiale nonostante il Trattato di Londra.
A seguito di questa decisione numerosi ex-combattenti (i primi furono un gruppo di Ufficiali dei Granatieri) si rivolsero al Vate chiedendogli di mettersi alla testa di un piccolo esercito che avrebbe occupato e fatta italiana la città di Fiume.
Nel settembre del 1919 i “volontari fiumani” occuparono la città nonostante le minacce e gli anatemi del Governo italiano e diedero vita ad una sorta di stato indipendente con tanto di Costituzione dove uomini e donne godevano degli stessi diritti e la proprietà privata diventava una risorsa sociale.
Tra questi uomini c’era anche un giapponese, piccolo di statura, la testa grande, folte sopracciglia sopra occhialetti spessi, vestito da “ardito”: si chiamava Harukichi Shimoi ed era figlio di un Samurai.
Shimoi amava l’Italia (che considerava molto simile al Giappone per la passione che anche questa nazione ha per il canto, la poesia e l’arte) e stravedeva per Dante (tanto da dar vita ad una associazione culturale dantesca a Tokyo). Trasferitosi a Napoli, insegnò presso il Reale Istituto Orientale di Napoli e imparò alla perfezione il dialetto napoletano con il quale si esprimeva.
Allo scoppio della prima guerra mondiale chiese ed ottenne di recarsi al fronte fraternizzando soprattutto con gli Arditi ai quali sembra insegnasse il judo. Partecipò anche ad alcune azioni militari guadagnandosi il rispetto e la stima da parte dei commilitoni e superiori.
Quando D’Annunzio entrò a Fiume, Shimoi con la sua uniforme da ardito lo seguì assumendo il compito di “ufficiale di collegamento” e stabilendo con il poeta un fortissimo legame tanto che D’Annunzio lo chiamava: “Il camerata Samurai”.
Quando con “il natale di sangue”, nel dicembre del 1920, l’avventura fiumana fu stroncata con le armi dal governo Giolitti, Shimoi continuò a mantenere stretti contatti con D’Annunzio nel frattempo ritiratosi a vita privata in quello che diverrà poi il “Vittoriale degli Italiani”.
“Un samurai a Fiume” è il racconto documentatissimo della insolita e avventurosa vita di Harukichi Shimoi, un piccolo ma grande uomo di cultura e d’azione che amava profondamente l’Italia, i suoi poeti, la sua cultura. Questo straordinario amore per la cultura italiana lo porterà a tradurre in giapponese innumerevoli opere e in particolare quelle di D’Annunzio e Dante favorendo così quel forte legame che per decenni unì Tokyo a Roma.
Francesco Gargaglia
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“annettere l’Italia a Fiume”