Home ATTUALITÀ Come sono cambiate le nostre case dopo un anno di lockdown

    Come sono cambiate le nostre case dopo un anno di lockdown

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    Galvanica Bruni

    Spesso il tempo è ciclico e si diverte a riproporre gli stessi scenari a distanza di tempo. Un esempio lampante? Il lockdown che ha cambiato tutto, abitudini e rituali, vita sociale, privata e lavorativa.

    A un anno esatto dalla chiusura totale, dall’inizio di una quarantena che non è mai finita, rieccoci al punto di partenza: zone arancioni, arancioni rinforzate, rosse. Stesso scenario di dodici mesi fa, ma nel frattempo quei dodici mesi sono passati. Invano?

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    Si direbbe di no, soprattutto in determinati campi dell’esistenza, settori professionali e beni individuali. Su tutti la casa, con la sua vivibilità e la sua percezione.

    Tutto è cambiato

    Nell’arco di un anno tutto è cambiato, ben più che nel precedente ventennio. L’appartamento è diventato ufficioscuolaasilo, persino ambulatorio dove curarsi in attesa di una diagnosi ufficiale.

    Intere famiglie si sono ritrovate a condividere gli spazi domestici in orari inediti, dovendo così riformulare diritti e doveri reciproci. Da una parte un focolare ritrovato, con la casa al centro e tutti quanti dentro; dall’altra una potenziale polveriera di conflitti.

    A riassumere meglio di altri l’evoluzione compiuta dall’abitazione nel post lockdown – e l’impatto che su di essa ha avuto il Covid-19 – è uno studio realizzato dal marchio di elettrodomestici Beko e intitolato “The Age of Nesting”, che tradotto significa “L’era della nidificazione”.

    L’era della nidificazione

    Secondo questa (e altre ricerche simili) durante il lockdown l’attenzione delle persone si è rivolta verso l’interno: l’abitazione ha svolto funzioni diverse da quella tradizionale e i suoi spazi hanno avuto molto in comune con quelli di palestreristorantiscuole o luoghi di vacanza.

    Le persone si sono abituate a vivere tutti i momenti della loro esistenza tra le quattro mura domestiche, ma l’aspetto che suscita più interesse – ben al di là delle constatazioni di fatto – è di tipo previsionale: secondo i suddetti studi questa tendenza alla centralità della casa rimarrà anche a pandemia superata.

    Smart working, piattaforme audiovisive, comunicazioni personali e lavorative in remoto – ma anche fobia da contagio, rifiuto dell’idea di comunità e del contatto interpersonale – sono elementi che, durante quest’anno e nei prossimi, hanno piantato radici e sono destinati a connotare una nuova era sociale.

    Era che, dal 2030, inizierà a stabilizzarsi pienamente e vedrà la casa come centro di differenti attività, punto di unione di universi finora paralleli (famiglia&lavoro, scuola&tempo libero e così via) e garante di igiene “superiore” rispetto al mondo esterno, poiché maggiormente sotto controllo.

    Resta da capire come reagirà a questa rivoluzione il mondo dell’arredamento. La casa non è più soltanto casa, dunque serviranno soluzioni adeguate. Sarà pane per i denti di arredatori e designer di interni.

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