In questi giorni il lockdown compie un anno ma il Coronavirus non si ferma e le incertezze continuano ad affliggerci. Quali sono le conseguenze a livello piscologico? Ne abbiamo parlato con Carolina Cassar, psicologa psicoterapeuta esperta di traumi infantili e autrice di “Quando finisce il Coronavirus?”, un libricino per bambini.
“Si definisce pandemic fatigue la stanchezza dovuta dal prolungamento della pandemia, lo stress derivato dalla difficoltà di vedere la luce alla fine del tunnel. Dopo i mesi di difficoltà che abbiamo affrontato, i nostri sistemi neurologici si sono ormai settati e vanno ad acutizzarsi con il tempo e l’incertezza di arrivare a una situazione di serenità”.
Il 60 per cento ne soffre
Secondo le ricerche svolte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il 60 per cento della popolazione europea soffre di pandemic fatigue. “I dati hanno mostrato – spiega la dott.ssa Cassar – che la pandemia ha favorito l’insorgenza di problematiche psicologiche e peggiorato quelle già esistenti in tutte le fasce di età”.
Basta soffermarsi un attimo, ripensare al lungo anno appena passato, per renderci conto di come siano cambiati la nostra quotidianità e il nostro modo di relazionarci e di quanti ostacoli ognuno di noi ha dovuto fronteggiare, chi più chi meno. La malattia, le persone perse, la chiusura di un’attività, lo smart working, la scuola a distanza, la lontananza dalle persone care, l’assenza di rete sociale.
“Tra le reazioni più comuni ci sono l’autolesionismo, l’insonnia, i disturbi d’ansia, la depressione, l’abbrutimento e l’isolamento. Le casistiche sono davvero varie e toccano tutte le età. Dai neonati che hanno risentito dei traumi dei genitori, ai più anziani che non potevano vedere i loro cari. È stato un anno duro per tutti: molti hanno dovuto affrontare la malattia o il lutto, altri hanno avuto problemi professionali o hanno dovuto annullare/rimandare i loro piani, altri ancora si sono sentiti completamente soli”, continua Cassar.
I mesi estivi, la riapertura delle attività e il ritorno a scuola hanno portato un po’ di speranza ed energia positiva, anche se breve.
I giovani hanno bisogno di routine e di sfogo
“Per la prima volta tornare in classe è stato entusiasmante, nonostante le restrizioni e le accortezze necessarie”, racconta sorridendo e, in quanto esperta di traumi infantili, chiarisce “La scuola è apprendimento culturale e sociale. Gli insegnanti hanno fatto un lavoro straordinario, ma la scuola non è solo studio, comprende anche tutte quelle esperienze necessarie nella vita di un ragazzo e che tutti noi abbiamo avuto: fare i compiti a casa di un amico, le feste di compleanno, di diciottesimi, i cento giorni e così via. Tutto questo è mancato, provocando solitudine. A ciò si è aggiunta la chiusura delle palestre, luogo necessario per lo sfogo fisico di bambini e ragazzi. Le conseguenze sono state iperattività, orari sballati e troppo tempo passato con i videogiochi. I giovani, come tutti, hanno bisogno di routine e di sfogo”.
Per i genitori ha un consiglio importante: “Bisogna creare il tempo per sé stessi, bastano 5 minuti almeno 3 volte al giorno da dedicare a un’attività che stimoli a livello corporeo le risorse necessarie ad aiutare il sistema nervoso. Per esempio, meditare, fare degli esercizi di respirazione, passeggiare, dipingere, accarezzare il proprio animale domestico”.
La speranza è in questo fenomeno
Al di là del pandemic fatigue Carolina Cassar pone la crescita post-traumatica, è il rovescio della medaglia, lo spiraglio di luce.
“È il lato positivo di questo lungo e faticoso anno, dal quale c’è chi ha tratto qualcosa di positivo. Chi si è reinventato o digitalizzato, chi ha riscoperto la famiglia e il piacere di stare insieme, chi ha cambiato le priorità o i propri valori, chi ha ritrovato interessi messi da parte. La speranza è in questo fenomeno”.
Giulia Vincenzi
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