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    Il faro di Capo Guardafui nel libro di Alberto Alpozzi

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    Se andate su Google-maps e cercate Capo Guardafui vi ritroverete ad osservare dall’alto uno dei territori più desolati, deserti e selvaggi del pianeta; qui non ci sono alberi e corsi d’acqua ma solo pietre e deserto, deserto e pietre.

    Capo Guardafui è la punta estrema del Corno d’Africa e la pietra nera ricoperta di marmo rosa, proprio come la punta di un corno, si insinua nel blu intenso del Mar Rosso infestato di squali. Su queste coste maledette chiamate ‘coste delle spezie’ o ‘coste della tristezza’ in passato, a causa delle forti correnti, delle nebbie e delle tempeste di sabbia, centinaia di vapori e mercantili hanno naufragato disperdendo i preziosi carichi sulle spiagge irte di scogli.

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    Quando agli inizi del ‘900 la Somalia passò dal Regno Unito all’Italia, su Capo Guardafui si decise di costruire un faro che, con il suo potente fascio di luce,  potesse mettere in guardia i naviganti e interrompere la tragica sequela di naufragi. Quel faro fu intitolato a Francesco Crispi e dal 1930 è ancora là.

    A raccontarci la straordinaria storia di questo faro è  Alberto Alpozzi, fotoreporter free-lance specializzato in aree di crisi (“Il faro di Mussolini”, Ed. Eclettica, 251 pag., 20 Euro); quando Alpozzi, a bordo di un elicottero AB-212, decollato dalla nave della MM “Zefiro” impegnata nel Golfo di Aden in missione antipirateria, vide per la prima volta il faro rimase così colpito che decise di raccontarne la storia.

    Dopo 4 anni di intense ricerche Alpozzi ha dato alle stampe uno straordinario libro documentatissimo che non solo racconta le origini del Faro Crispi ma anche l’avvincente storia delle colonie italiane in Somalia.

    Il libro che si legge come un romanzo di avventure non ha, nonostante il titolo, nessun contenuto politico o nostalgico; al contrario, racconta con estremo rigore ed obiettività vicende lontane spesso dimenticate e altrettanto  spesso gravemente manipolate.

    La creazione delle colonie risale agli inizi del ‘900 quando la maggior parte delle nazioni occidentali, come Francia, Regno Unito, Spagna, Belgio, Portogallo, già erano entrate in possesso, con la forza, dei territori in terra d’Africa e Estremo Oriente. L’Italia coloniale fu però qualcosa di diverso; investì ingenti somme di denaro a fronte di modesti ricavi e portò in Africa strade, ponti, porti, fabbriche, sanità, scuole e fari.

    Lo storico inglese Denis Mack Smith, noto per le sue posizioni anti-italiane ha scritto: “ Nelle colonie furono riversati ininterrottamente fiumi di denaro con guadagni assai scarsi…gli Amministratori fecero un buon lavoro e talvolta ottimo…le popolazioni ricevettero dall’abolizione della schiavitù, dal controllo delle epidemie e dalle carestie e dall’amministrazione della giustizia, vantaggi più concreti che le popolazioni delle vicine colonie britanniche. L’Italia fu più generosa di ogni altra potenza e i risultati furono a volte imponenti”.

    Il libro di Alberto Alpozzi è uno straordinario libro storico: documentato e curatissimo è allo stesso tempo avvincente come un romanzo di Salgari; le sue pagine sono non solo il risultato di un imponente lavoro di ricerca ma anche un’elegia di una nazione conquistatrice e del suo rapporto con i conquistati. Tanto che all’Italia, nonostante la sconfitta del secondo conflitto mondiale, fu poi assegnata dalle Nazioni Unite per lunghissimi anni (caso più unico che raro) l’amministrazione fiduciaria della Somalia.

    Francesco Gargaglia

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