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    Cassius Clay, il “sindaco” del villaggio olimpico

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    ArsMedica

    Strafottente, si fece conoscere in un amen. Nel villaggio olimpico si presentò a tutti dicendo “sarò il pugile più forte di tutti i tempi”.

    Oggi quella frase non fa ridere, perché lui è stato davvero il più forte di tutti. Ma sessant’anni fa, all’Olimpiade di Roma del 1960, Cassius Clay rischiava di essere considerato uno un po’ suonato.

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    Nel villaggio lo chiamavano “il sindaco”, perché col suo modo di fare aveva conosciuto tutti già al termine della prima giornata dei Giochi. Sbarcò a Roma per conquistare l’oro olimpico, Pesi mediomassimi, che all’epoca venivano definiti massimi-leggeri.

    Ma neanche voleva venire nella città eterna, aveva paura degli aerei e si vocifera viaggiò con un paracadute sulle spalle. Diceva “se Dio avesse voluto farci volare, ci avrebbe fatto le ali”. Una volta convinto arrivò e stracciò la concorrenza.

    Apoteosi la finale al PalaEur contro il boxeur polacco Zbigniew Pietrzykowski, che in semifinale aveva sconfitto l’azzurro Giulio Saraudi. Quindicimila spettatori ad applaudirlo.

    Fu il personaggio-richiamo dei Giochi, dicono si fosse pure invaghito della velocista americana Wilma Rudolph. Neanche due mesi più tardi, Clay (che ancora non si è convertito all’Islam) farà il suo debutto tra i professionisti.

    Perse la medaglia olimpica, non la gettò in un fiume, quella è diceria. Gliene avrebbero poi ridata una copia.

    Massimiliano Morelli

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