Home ATTUALITÀ È morto Luciano De Crescenzo, addio all’ingegnere filosofo poeta

    È morto Luciano De Crescenzo, addio all’ingegnere filosofo poeta

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    Galvanica Bruni

    È morto oggi a Roma, all’età di 90 anni, Luciano De Crescenzo. Si è spento intorno alle 16 al Policlinico Gemelli dove era ricoverato. Da tempo le sue condizioni di salute – lui che da anni soffriva di una malattia neurologica – non erano delle migliori. A portarlo via, le conseguenze di una polmonite.

    Nonostante un lieve miglioramento nella giornata di ieri, oggi la più triste delle notizie. “Era ricoverato da circa due settimane presso l’unità operativa complessa di pneumologia del Gemelli, diretta dal professor Luca Richeldi – ha fatto sapere una nota dell’ospedale -. Accanto a lui i familiari e gli amici più cari che lo hanno accompagnato anche nell’ultima fase della sua malattia“.

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    Personaggio poliedrico ed istrionico, Luciano De Crescenzo nasce a Napoli nel 1928 nel borgo di Santa Lucia (abitò al civico 40 di via Generale Orsini, nello stesso stabile in cui era nato il suo storico amico Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer), e da giovane fa il “guantaio”, nell’azienda del papà.
    Laureatosi in Ingegneria viene assunto dalla multinazionale IBM dove, come dirigente, lavora fino al 1977, prima a Napoli e poi a Roma.

    Chi – come il sottoscritto – ha avuto il piacere di conoscerlo e frequentarlo da collega e da amico nonostante ventun anni di differenza, non può non ricordare il suo modo dissacrante ed accattivante di interpretare il suo ruolo di dirigente d’azienda nell’epoca in cui lo stile dei “colletti bianchi”, i cosidetti “yesmen”,  era imperante.

    Quel periodo Luciano, sul suo sito, così lo ricordava: “Nel ’76 ero un dirigente della IBM Italia. Come stipendio percepivo la bellezza di un milione al mese, ovvero una retribuzione di tutto rispetto. Nel medesimo tempo, però, non avevo molto da fare. In altre parole ero un dirigente e non avevo niente da dirigere. Un giorno, poi, presi l’influenza e restai a casa per una settimana. Tornato in ufficio, chiesi alla mia segretaria ‘mi ha cercato qualcuno?’ No rispose lei e io mi resi conto che al di fuori dell’andare a mensa non avevo altro da fare. Allora mi misi a scrivere”.

    Nel 1976 arriva il successo: pubblica Così Parlò Bellavista, il suo primo libro, che in un anno vende più di 600mila copie e diventa un vero e proprio caso letterario.

    Nel 1977 lascia l’IBM per dedicarsi alla scrittura e dal 1977 diventa un autore di successo internazionale pubblicando nel tempo oltre 50 libri vendendone 18 milioni copie nel mondo, di cui 7 milioni in Italia. La filosofia, la vita dell’antica Grecia, i grandi miti sono la sua passione: le sue opere sono tradotte in 19 lingue e diffuse in 25 paesi.

    Lavora in televisione e nel cinema dove esordisce come attore ne Il Pap’occhio al fianco dell’amico Roberto Benigni e diretto da Renzo Arbore. Nel 1982 è interprete di Quasi quasi mi sposo mentre nel 1984 è protagonista e sceneggiatore di F.F.S.S. cioè che mi hai portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene, ancora per la regia di Arbore.

    Con l’età, comincia però a soffrire e di una particolare malattia neurologica che gli rendeva difficile riconoscere i volti delle persone conosciute.

    Un ricordo personale: “uagliò, grazie assai…”

    Memorabile, almeno per me, la sua visita alla scuola Media di via della Maratona, a Vigna Clara,  nella seconda metà degli anni ’90. Lo invitai a tenere una lezione di filosofia “a modo suo” in  una classe terza, frequentata da mia figlia.

    Per convincerlo, andai a casa sua mostrandogli una copia del suo primo libro con dedica: “al collega e giovane amico Claudio i cui globuli rossi partenopei ribolliranno nel leggere questo libro” (libro che conservo gelosamente).
    In virtù dei nostri comuni trascorsi accettò  ma un po’ perplesso mi disse: “uagliò, ma caggiaricere a quei picciriell’?” .

    Sciolto il dubbio (“Luciano, parla loro di filosofia, ma fallo a modo tuo, sono sicuro che sarà un successo” gli dissi), lo andai a prendere a casa il sabato successivo. Entrammo in classe ed iniziò la sua lezione di filosofia ad una ventina di tredicenni.
    Ma il suo arrivo non era passato inosservato tanto che, dopo un quarto d’ora, il preside – avvertito da un altro professore – venne a salutarlo calorosamente pregandolo di continuare la lezione in palestra, davanti a tutte le terze classi.

    Luciano non si tirò indietro. Parlò a braccio per circa due ore ad un pubblico attentissimo di un centinaio fra dodicenni e tredicenni magnetizzando la loro attenzione e suscitando decine di inaspettate domande. Una vera standing ovation lo salutò al termine della lezione. Nel riaccompagnarlo a casa, nel suo attico sui Fori Romani, mi ringraziò per questo bagno di gioventù: “uagliò, verimmece chiù spesso, oggi me so’ divertito assai“.

    “Ulisse era un fico” è il titolo di uno dei suoli libri. Beh, con tutto il massimo rispetto, per me “Luciano era un fico”. Ciao ingegné, ce verimme.

    Claudio Cafasso

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