Home AMBIENTE Roma, città resiliente o soltanto sporca?

Roma, città resiliente o soltanto sporca?

Roma resiliente
Galvanica Bruni

Da tempo stampa e televisione denunciano la situazione dei rifiuti in strada che in alcune zone della capitale ha assunto i toni del melodramma; a fare da contorno alla vicenda , le polemiche tra la Regione Lazio, accusata dal Campidoglio di disinteressarsi al problema, e il Comune di Roma messo all’indice per non aver individuato le aree dove mettere gli impianti di smaltimento.

Ovviamente anche a Roma Nord la spazzatura si accumula intorno ai cassonetti e allora abbiamo voluto renderci conto delle proporzioni del fenomeno cercando anche di capire cosa è che non va almeno nella raccolta.

Continua a leggere sotto l‘annuncio

Ogni giorno centinaia di autisti, a bordo di mezzi con ganasce e sollevatori, percorrono le vie dei nostri quartieri per procedere allo svuotamento dei cassonetti; un lavoro ripetitivo, svolto ad ogni ora del giorno e della notte, festivi compresi. Il mezzo dovrebbe accostare al cassonetto, agganciarlo e svuotarlo rapidamente per poi riprendere il percorso. Detto così sembra una cosa da niente ma la realtà è ben diversa e rende tutto più difficile.

Quello che si accumula intorno ai cassonetti è degno di una grande discarica; nel nostro giro sapevamo bene che avremmo trovato cumuli di rifiuti ma quello che ha catturato l’obiettivo della macchina fotografica va ben oltre ogni immaginazione.

A cominciare da quei cassonetti di Via dei due Ponti, poco dopo l’incrocio con via Sperlonga, dove insieme ad una montagna di rifiuti c’è di tutto, lavandino compreso.

Fare l’elenco di quello che viene gettato intorno ai cassonetti è impossibile ma noi ci abbiamo provato lo stesso: parabole televisive, lastre di vetro, pannelli di truciolato, stendini e attaccapanni e poi sportelli di mobili, materassi, pensili da cucina, reti metalliche, strutture in ferro. E ancora: tubi in plastica, sedie da ufficio, televisori, macchinette per il caffè espresso, pedane in legno, rami, tronchi e foglie di palma, e per finire anche  un grosso frigorifero lasciato a pochi passa dalla Piazza di Ponte Milvio.

Quello che abbiamo fotografato non lo abbiamo scovato in una borgata o alla periferia di un campo nomadi, ma nelle strade dei nostri quartieri dove i cassonetti quasi sempre sono insufficienti perché riempiti di legno, ferro e dell’erba tagliata nei giardini di grandi condomini.

Certo sappiamo bene che la raccolta dei rifiuti è problematica specie dove non la si fa in maniera differenziata ma trasformare i cassonetti in piccole discariche non aiuta certo a risolvere il problema.

Da tempo si parla di un progetto relativo alle “città resilienti”, ovvero città capaci “di contrastare e mitigare i rischi di natura ambientale, sociale ed economica” (un piano per Roma Resiliente doveva essere presentato a metà giugno).

Il termine “resiliente” oggi è di gran moda e molto usato (specie in psicologia) anche se la sua origine è squisitamente metallurgica: un metallo sottoposto a riscaldamento e battitura acquista maggiore resistenza. Come dire: più mi maltratti più divento forte!

Per quanto riguarda Roma e la situazione dei suoi rifiuti non ci sembra però di vedere alcuna “resilienza”; se così non fosse dalle tante situazioni di crisi che nel corso degli anni hanno riguardato la raccolta, lo smaltimento e la gestione delle discariche, sarebbe dovuto emergere un modo più efficace di affrontare e risolvere il problema.

Niente di più lontano dalla realtà. Reale  invece è il contributo che possono fornire i cittadini; una maggiore disciplina nella raccolta aiuterebbe senz’altro. Forse la “resilienza” dei romani potrebbe essere proprio questa: davanti alla vergognosa situazione che ogni giorno si vede intorno ai cassonetti trovare la  forza per dire: “E’ ora di cambiare”.

Francesco Gargaglia

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LASCIA UN COMMENTO

inserisci il tuo commento
inserisci il tuo nome