
A metà degli anni ’60 il Centro Africa fu sconvolto da una serie impressionante di conflitti tribali generati dalle divisioni interne e dai forti interessi economici legati allo sfruttamento delle risorse minerarie. A questi conflitti parteciparono anche alcune migliaia di “mercenari” bianchi provenienti da ogni parte d’Europa.
Per la nostra rubrica “cibo per la mente” oggi parliamo di “Un parà in Congo e Yemen” (Ed. Mursia, 243 pag., 18 Euro), un libro scritto da uno di quei mercenari, Robert Muller, nato a Milano nel 1942 e attualmente residente in Francia.
I mercenari non hanno mai goduto di buona fama eppure sono sempre esistiti; i nostri “capitani di ventura” erano soldati professionisti che si mettevano al servizio di un qualche principe che offriva loro soldo e bottino. Gli USA, quella che secondo alcuni è la più grande democrazia del mondo, da anni impiegano i “contractors”, ex-militari assoldati da compagnie come la Black-Water, per compiti che le truppe non possono e non vogliono svolgere (come la custodia dei prigionieri).
Robert Muller in realtà non è neppure un ex militare (non ha fatto il servizio di leva ma ha conseguito solo il brevetto di paracadutista civile) ma viene catturato, giovanissimo, dal mito del “soldato di ventura” e parte, poco più che ventenne, per il Belgio dove poi raggiungerà il Congo e il gruppo di mercenari che si battono con le truppe di Ciombè.
Nell’ex Congo belga si combatte tutti contro tutti: oltre ai mercenari ci sono le truppe dell’ONU, europei, americani, cubani e sovietici; gli interessi economici sono enormi e si soffia sul fuoco della rivolta per rimanere nelle grazie del presidente di turno.
Ma a Muller non interessano le questioni ideologiche perché a spingerlo in quell’ambiente dove si rischia la vita ogni giorno è il suo insaziabile desiderio di avventura: e in Congo di avventure, insieme al suo amico Nony e ai suoi compagni d’arme (paracadutisti, legionari, reduci dall’Indocina e l’Algeria) ne vivrà moltissime.
Come tutti riceverà una carabina FN (non a caso un’arma prodotta in Belgio!) e con questa combatterà contro le truppe di Lumuba prima e i Simba dopo; i “simba” (i leoni) sono ribelli inquadrati da istruttori cubani convinti dagli stregoni di non poter essere uccisi dai proiettili dei mercenari.
I mercenari, al comando di celebrità come Schramme o Denard, combatteranno in ogni angolo del Congo e spesso a difesa delle comunità bianche, fino a quando non saranno costretti a sloggiare.
Ritornato a Milano Muller scalpita perché la vita da impiegato non fa per lui e così dopo pochi mesi chiede di essere nuovamente ingaggiato. Questa volta lo aspetta lo Yemen. Combatterà per circa un anno nello Yemen contro i “repubblicani” in un ambiente particolarmente ostile fino a quando il suo gruppo non verrà catturato, disarmato e rispedito in Francia.
Il libro di Robert Muller più che un libro di guerra è un libro di avventure, una via di mezzo tra un romanzo di Salgari e un racconto di Kipling, anche se la scrittura, semplice e a volte perfino ingenua, non è quella di uno scrittore professionista.
Ma è un libro che cattura l’attenzione e si legge di un fiato: in fin dei conti, come scrisse Curzio Malaparte: “Ogni uomo ben nato, coraggioso, sano, forte ama la guerra”.
Francesco Gargaglia
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