“Non sono mai stato orientato verso la musica classica. Una melodia di Mozart o di Bach o una vecchia canzone folk venivano assorbite dal mio orecchio allo stesso modo”. E se a dirlo è stato uno che di uno strumento classico ne ha fatto una protesi, c’è da riflettere. Andrew Bird è fra i musicisti e compositori più talentuosi, originali, intriganti della scena odierna e domenica 30 ottobre sarà in concerto all’Auditorium (Sala Sinopoli) per presentare il nuovo lavoro “Are You Serious”.
L’album è uscito il 1 aprile – il titolo suona quasi come un riferimento al famigerato “Pesce” – ed è solo l’ultimo capitolo di una saga iniziata vent’anni fa e sempre in equilibrio tra approccio “alternative”, di frontiera, e radiofonico. “In” e “out” al tempo stesso.
Stavolta il Nostro ha realizzato un disco se possibile ancora più vario dei precedenti, dal mood tutto sommato sereno, giocoso, elettrico, estroverso, a dispetto di chi prevedeva una svolta intimista. E nel lotto degli undici brani ci sono anche le reinterpretazioni di due classici gospel come “Jesus Is A Dying Bed Maker” e “Keep Your Lamp Trimmed And Burning”, peraltro entrambi già da tempo facenti parte del suo repertorio live.
Andrew Bird è sempre stato un personaggio difficile da inquadrare. Le definizioni non gli si addicono, basti pensare che in vent’anni di carriera ha inanellato una serie impressionante di lavori uno diverso dall’altro ed una vagonata di collaborazioni eccellenti di cui St.Vincent, Ani Di Franco, Wilco, Howe Gelb e Rufus Wainwright sono solo i nomi più noti.
Lui il violino lo prese in mano a quattro anni ma evidentemente suonare musica classica – com’era negli auspici della madre che lo mandò al conservatorio – era troppo limitante per le sue aspirazioni. Perché nelle vene gli scorreva il sangue infetto dell’artista schizoide e nelle mani aveva scavate le stigmate del genio. Un genio che nel corso della carriera si è rivelato dai mille volti.
Nelle sue tante vite artistiche si annoverano varie fasi tra cui anche una swing/jazz prima del definitivo passaggio al pop tout-court, sempre con quel piglio retrò rivolto alla “golden age” del genere, dai Beatles ai Beach Boys passando per Bacarach, ed uno stile nel cantare a tratti implorante, a tratti imprecante, a mò di novello Jeff Buckley o di Thom Yorke periodo “OK Computer”.
La svolta per lui arriva nel 2005 con l’esaltante “The Mysterious Production Of Eggs”, album che seguiva la scia intrapresa dal precedente “Weather Systems” ma con ben altro spessore. Mai musica colta e cantautorato pop convissero così in armonia. Struggente nei testi, esaltante nelle melodie.
Il terzo disco in studio del folletto di Chicago era un messaggio in bottiglia in un mare di vetri rotti. La voce di Bird era un cinguettìo fischiettato in una foresta di belve urlanti, agli albori della P2P era e del file sharing che permetteva quantità ma non prometteva qualità.
Per certi versi Bird può essere considerato il Beck del nuovo millennio per la sua capacità di assorbire, rimasticare e risputare fuori in forma originale influenze tra le più disparate, frullando insieme minestroni ipervitaminici a base di generi apparentemente agli antipodi.
E se il genietto californiano negli Anni Novanta era un mago nell’assemblare blues, country, folk, rock lo-fi ed elettronica, l’ “uccellino” dell’Illinois non è mai stato da meno riuscendo anche laddove molti al suo posto avrebbero sbattuto il sedere per terra. E ad ottobre, il suo ennesimo salto carpiato finirà di nuovo con lui trionfante in piedi e la sala ad applaudire.
Valerio Di Marco
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