Home ATTUALITÀ Teatro Olimpico, Amii Stewart e la “via del successo”

Teatro Olimpico, Amii Stewart e la “via del successo”

al Teatro Olimpico un Bignami generoso e travolgente di soul e rhytm & blues

Galvanica Bruni

Più che un musical, un concerto. Anzi, un signor concerto. In scena fino a domenica 15 maggio al Teatro Olimpico, “La Via del Successo” è uno spettacolo che in due ore (più l’intervallo) travolge il pubblico con una valanga di musica fantastica interpretata in modo eccezionale.

Dieci anni e passa di Motown riassunti in 26 canzoni (da “Listen” a “Think”, da “Proud Mary” a “Soul Man”, da “I Feel Good” a “Joyful Joyful”), una carriera scintillante (quella di Diana Ross e delle Supremes) evocata liberamente e ripercorsa magnificamente attraverso il filo conduttore delle sette note, con dodici orchestrali e quattro ballerini sul palco.

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Lo spettacolo visto ieri sera al Teatro Olimpico è un Bignami generoso e travolgente di soul e rhytm & blues, è una summa appassionata ed entusiasmante di tutta quella musica che negli anni sessanta non solo scolpì a chiare lettere l’identità e l’orgoglio dei neri ma che assestò anche un colpo decisivo alla segregazione razziale che ancora riguardava alcuni stati degli USA.

Era musica che assecondava l’amore, la passione e la voglia di vivere, che trasudava sorrisi, sensualità, energia e lacrime, e piaceva a tutti. Conquistava i cuori di tutti, senza distinzioni.
Le Supremes, Tina Turner, James Brown, Aretha Franklin: nei testi che interpretavano in modo così ispirato non c’era traccia dell’impegno politico e sociale che pervadeva le liriche di Bob Dylan e Joan Baez (ad esempio), eppure quei versi, quelle note, quei movimenti, ora aggraziati ora sfrenati, abbattevano muri e pregiudizi, accorciavano distanze, rendevano “l’altro” meno estraneo.

Amii Stewart 2Tutto questo racconta “La Via del Successo”. E lo fa egregiamente, grazie soprattutto alle straordinarie capacità vocali di Amii Stewart, Lucy Campeti e Francesca Haicha Touré (brave, bravissime, supreme!), cui si aggiunge l’eccezionale qualità canora di Will Weldon Roberson (che pennella favolosamente James Brown e Sam Moore).

L’orchestra – fiati a profusione, ovviamente – va che è una meraviglia (la sapiente mano di Marco Tiso ad impreziosire gli arrangiamenti), i brani si susseguono uno dopo l’altro dispensando una miscela di sensazioni positive ed è sempre la musica che fa la narrazione. Le parti dialogate sono ridotte al minimo, esili e didascaliche. Per la cronaca (donne, perdonatemi, se potete), c’è anche Sergio Muniz.

Applausi (tanti) al cast tecnico: le scene disegnate da Andrea Bianchi sono funzionali e scattanti, i costumi di Martina Piezzo scintillanti ed evocativi. Un concerto più che un musical, anzi un signor concerto.

Giovanni Berti

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