Sono le 18.30 di venerdì 13 novembre, e da Libri e Bar Pallotta, a Ponte Milvio, le sedie sono già quasi tutte occupate e col passare dei minuti le persone aumentano. Chi sta in piedi, chi siede in terra, chi osserva l’interno della libreria da un monitor posto all’esterno. Ad occhio e croce almeno un centinaio di persone. Walter Veltroni arriva puntuale, saluta e si attesta in fondo alla sala.
Veltroni è venuto a presentare il suo ultimo libro, “Ciao”, Rizzoli Editore. Modera l’incontro Roberto Ippolito, giornalista e scrittore napoletano. Con qualche minuto di ritardo entra Paolo Bonolis, amico e lettore affezionato di Veltroni. “Lasciamo a Paolo un attimo di respiro, togli il cappotto”, scherza Ippolito e Bonolis “no, no grazie, non mi fido a farlo qui dentro”.
“Bene” comincia Ippolito “siamo qui con Walter Veltroni, che è stato sindaco di Roma, Segretario del Partito Democratico, Vicepresidente del Consiglio…”, “non preoccuparti” interviene Veltroni, “non c’è bisogno”. “E siamo in compagnia di Paolo Bonolis”, prosegue Ippolito “conduttore, autore, showman in programmi come Il Senso della vita, Ciao Darwin, Avanti un Altro…”, “no guarda, lasciamo proprio perdere che finiamo domani mattina!” scherza Bonolis.
Si introduce il libro: Walter Veltroni racconta una storia, la storia di un personaggio fortunato, più fortunato di lui. Il giovane protagonista del racconto incontra il padre, Vittorio Veltroni, stimato giornalista morto all’età di 37 anni, quando Walter ne aveva solo uno. È la proiezione di un sé stesso immaginato, sognato che ha la possibilità di parlare con una persona mai conosciuta.
“Papà mi ha trasmesso energia, curiosità, malinconia anche solo immaginandolo”, racconta Veltroni. “Io non ho nulla di lui, se non adesso questo libro. Ho scritto ciò che sono, anche se ho raccontato di papà attraverso le parole dei suoi amici, di chi lo conosceva. Si tratta di una questione di eredità, di DNA. So di avere la voce come mio padre, gli occhi come lui, forse il carattere, la curiosità, la voglia di stare in squadra, di sognare”.
Serenità e malinconia si mescolano nelle parole di un figlio che ha ricostruito l’immagine del padre. E quando viene chiesto a Bonolis di commentare il romanzo, l’amico Paolo è il lettore qualunque che ammira lo scrittore: “sono innamorato di Walter, dei suoi libri, d’altronde questo è un outing sereno!
Sono innamorato di lui perché conosce il senso estetico dell’esistenza, profondo ma leggero allo stesso tempo ed è una cosa molto rara. Il rapporto di Walter col padre è un rapporto mancato, senza tangibilità ma si tratta di realtà che si sono parlate. C’è del bello in ogni parte dell’esistenza, come in questo libro, a patto che si voglia trovare”.
In sala si ascolta, seguono anche i più giovani, solitamente distratti dal contesto e attenti al cellulare. Nessuno trattiene il sorriso alle battute di Bonolis, sempre ben piazzate. Ippoliti intramezza, alternando gli interlocutori.
Le due ore scorrono velocemente, senza noia o sbadigli all’orizzonte. Sono molti gli aneddoti raccontati, tanto reali da rendere gli ascoltatori partecipi di un passato che non appartiene a tutti.
“Vi racconto un episodio”, comincia Veltroni. “Mio padre scopriva talenti. Uno tra i più grandi fu Mike Bongiorno, Michael prima che gli facesse cambiare nome. Papà mandò Mike all’aeroporto di Ciampino ad intervistare Ungaretti. Bongiorno non aveva la più pallida idea di chi fosse Ungaretti e a fine intervista gli chiese: ‘ma lei ha scritto qualcosa?’ ed Ungaretti rispose: ‘sì, qualcosa tipo m’illumino d’immenso'”. Chi ascolta è visibilmente divertito.
Si imitano voci, si mimano situazioni, si ricompone una storia di persone che risultano familiari anche a chi quegli anni se li sente raccontare.
È l’epoca di un Aldo Moro che passeggia scortato dal maresciallo Leonardi nel Parco dei Daini. È l’epoca del primo canale RAI, dell’aspettativa e della meraviglia che la TV rappresentava. È l’epoca della credibilità giornalistica, di una società-mondo costruita da persone che avevano la fiducia di chi ascoltava, leggeva, vedeva le notizie.
È l’epoca di persone mai diventate personaggi, di uomini e donne amati, mai venerati. Sono gli anni ’50 e ’60, raccontati senza nostalgia ma con rispetto.
“Il problema è che oggi stiamo perdendo la capacità di amare gli altri, di essere gentili con gli altri, pur avendo la possibilità di essere più felici” riflette Veltroni. “Nel passato c’era la guerra nel nostro paese, c’erano la miseria e la povertà di sicuro più dilaganti eppure sorridevano molto di più. Noi siamo tutti incupiti, incattiviti, solitari. Viviamo la vita con un certo fastidio”.
In molti annuiscono, Bonolis chiosa: “sono d’accordo con il discorso di Walter sulla disponibilità verso l’altro, oggi ne abbiamo davvero poca. L’utilizzo del cellulare in modo così marcato com’è adesso, porta alla chiusura nel proprio mondo. Ma il libro è altro: sentimento, passione e riflessione”.
Il libro è altro, suggerisce Bonolis. È un romanzo che mescola realismo e magia ad un meccanismo perfettamente conforme al reale. Non si tratta della ricerca di un padre mai conosciuto: è la storia di un papà scoperto e vissuto nel racconto degli altri.
“Nella parte finale del mio libro” conclude Veltroni “parlo degli ultimi giorni di papà, attraverso gli occhi dei suoi amici. Aldo Salvo è stato un grande amico di mio padre ed è stato lui a raccontarmi cosa ha detto papà in punto di morte: ‘non preoccupatevi, sto solo sognando il mio futuro’. Non posso sapere cosa volesse dire, forse voleva solo spronare tutti a continuare”.
Martina Meoli
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